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La Casa Degli Sguardi: l’amore incondizionato di un padre e l’estrema empatia e fragilità di un figlio

La Casa degli Sguardi

La Casa degli Sguardi

La sera del 24 ottobre 2024 durante il festival del cinema di Roma nell’auditorium della conciliazione, intorno alle ore 21, il pubblico è uscito dalla sala con visi gonfi di commozione misto ad una strana felicità, sentimenti contrastanti dovuti alla visione del film La Casa degli sguardi diretto (per la prima volta in assoluto) e recitato da Luca Zingaretti, con protagonista il talento di Gianmarco Franchini in arte Marco (figlio del personaggio incarnato da Zingaretti) e Federico Tocci, accolti inizialmente da lunghi applausi prima della proiezione e salutati da altrettanti scroscianti applausi commossi e sentiti al termine della stessa.

La Casa Degli Sguardi, la trama e gli snodi principali del film

Il film presenta subito il protagonista Marco, un ragazzo di 23 anni, dalla adolescenza molto travagliata. Perde la mamma da piccolo e resta con il padre che si prende cura di lui ma che lo vede giorno dopo giorno abbandonarsi, trascurarsi fino quasi a perdersi tra i fumi dell’alcol e la sua più grande passione: la scrittura delle poesie. La composizione è un dono innato che possiede fin da piccolo, scoperto dalla defunta madre che lo ha sempre spronato a vivere questo mondo in maniera affettuosa, aperta, ripetendo insieme versi a memoria e spingendolo in modo delicato a scrivere versi. Tutto ciò lo spettatore lo scopre grazie ad un flashback dovuto ad allucinazioni di Marco dopo aver assunto una sera troppo vino.

Insieme a Marco, durante le primissime scene, la pellicola presenta anche il padre. Un eccezionale Luca Zingaretti che riesce a caratterizzare la figura del papà immerso in una situazione estremamente complicata, tra il dover essere severo con il figlio (fondamentale al fine di evitare che si perda totalmente se abbandonato), e l’amarlo incondizionatamente nonostante gli incidenti in auto causati dal tasso alcolemico, i continui duri litigi, a volte insulti, e il raccoglierlo letteralmente dalla strada quando torna la sera ubriaco e senza chiavi di casa perché perse, ma lui gli sta accanto sa di essere l’unica persona su cui Marco può contare, sa che Marco non è uno scarto della società, sa che in fondo ha un animo estremamente gentile empatico ma allo stesso tempo fragile, debole che lo fa cadere continuamente nell’alcol e nella chiusura verso il mondo esterno.

Un barlume di speranza si accende quando viene presentato al pubblico il personaggio Davide, editore del protagonista e amico del padre. Davide riesce a trovare un lavoro a Marco presso l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma come addetto delle pulizie. In questa sua nuova fase di vita conosce Giovanni (Federico Tocci), caposquadra delle pulizie, un burbero dal cuore grande; Giovanni conoscerà il protagonista, comprenderà le sue difficoltà, lo troverà a lavoro in ritardo, ubriaco, non in grado di badare a sé stesso, ma gli vorrà piano piano sempre più bene e per quanto possibile inizierà ad aiutarlo. Di Giovanni si sa poco della sua storia, ma quel poco ha un impatto forte per il protagonista.

La scena si svolge nell’ospedale, c’è una donna che piange, probabilmente per la morte del figlio e si trova davanti le finestre dello spogliatoio della squadra di pulizia, all’interno i dipendenti ridono e scherzano, finché Giovanni non chiude di colpo la finestra. A questo punto Marco lo aggredisce verbalmente dicendo che non abbia un cuore, dando vita ad una colluttazione terminata solo grazie all’intervento dei colleghi. Poco dopo Marco verrà a scoprire che tra le mura dell’ospedale Giovanni ha perso suo figlio appena nato, e probabilmente è lì che si rende conto di non essere l’unica persona al mondo ad avere un passato duro, che è possibile reagire e soprattutto che anche chi gli sta intorno è in grado di soffrire senza però trascurarsi e farsi terra bruciata intorno di conoscenze e parentele.

La storia prosegue e si assiste ad una sequenza di eventi che non permettono di spiegare se la vita di Marco stia precipitando sempre più verso il baratro, o se in qualche modo si sta arrivando ad un punto di svolta che dia al protagonista quel senso di pace e soddisfazione che sicuramente merita, ma che però non sappiamo se le riuscirà mai a raggiungere. Dopo l’ennesimo comportamento sbagliato a lavoro Marco viene declassato, e conoscerà Stefano un ragazzo simile a lui, di cui non conosciamo la storia, ma solo che è un grande amante dei fiori e del mondo botanico anche lui probabilmente ha trascorso un infanzia complicata, Marco lo trova molto simile a sè e ci stringe una amicizia, nonostante anche Stefano sia una di quelle persone allontanate ed emarginate da chi gli sta intorno per via del carattere complesso e scontroso.
Intanto vive il cosiddetto blocco dello scrittore, non riesce a scrivere nuove poesie, si rifugia in quelle vecchie, che ripeteva insieme alla mamma.

Sembra andare tutto per il meglio, pare che Marco beva meno, ma in realtà è solo questione di tempo, Stefano muore in un incidente con il suo motorino, e Marco dopo aver trovato il suo diario si rigetta a capofitto a bere vino e grappa. In questo turbinio di emozioni negative e strazianti sue, ma anche del padre che vede suo figlio totalmente in balia di sé stesso, incapace di reagire, Marco ritrova la forza di scrivere, e compone una poesia struggente per Stefano, mostrando un infinito lato umano ben più grande del lato oscuro scontroso e quasi sciatto che mostra al mondo. Le uniche persone a cui Marco mostra il suo animo più puro e gentile sono il papà e Alfredo. Alfredo è un bambino degente dell’ospedale che Marco ogni tanto intravede da una finestra, ci scambia battute e corna, brevi attimi di straordinaria normalità, il bambino farà anche disegni per lui, Marco prova ad incontrarlo di persona ma viene prontamente bloccato, finché un giorno apprenderà della sua morte, cadendo nello sconforto più totale. Di nuovo.

Durante tutto il film lo spettatore è spesso colto di sorpresa, quando sembra che la situazione migliori ecco che subito gli viene sbattuta in faccia la realtà e Marco si ubriaca nuovamente; Lo spettatore è portato a stufarsi di vedere i continui comportamenti sbagliati ed evitabili di Marco, condividendo un senso generale di frustrazione e rabbia (esattamente quella che vive costantemente il padre), ma ecco che all’improvviso al protagonista accade qualcosa che lo emoziona che lo spenge a cambiare, che lo può far sbocciare come un fiore in mezzo ai rovi e permette allo spettatore di sognare un’ augurata e meritata rinascita del poeta maledetto.

Nelle scene finali del film si intravede una sana e bella riappacificazione con il papà di Marco, che quasi incredulo ed emozionato non crede ai suoi occhi. Il padre in tutto questo è un tranviere della linea 19 di Roma, nel film simboleggia la Presenza, Marco sa sempre dove trovarlo perché il tram viaggia su rotaia, un tracciato di linee parallele ma che sono sempre lì, sempre le stesse e prima o poi sa che quel 19 dovrà passare di lì. Alla fine aspetta il papà in mezzo alla strada, fa fermare il tram, il padre crede che anche stavolta ha perso le chiavi, ma in realtà Marco vuole solo tornare a casa insieme a lui, passare tempo insieme e durante il tragitto, prima di addormentarsi, scrive nuovi struggenti versi, questa volta per il piccolo Alfredo. Il film presenta un finale aperto, lo spettatore non sa se Marco riuscirà a cambiare vita o se cadrà di nuovo nella sua dipendenza, non della poesia ma dell’alcol.

Chi vedrà il film uscirà sicuramente dalla sala cinematografica consapevole che queste storie purtroppo esistono ed accadono più spesso di quanto vogliamo credere, in tutte le famiglie possiamo trovare casi di infanzie difficili, padri infinitamente amorevoli, ragazzi persi e ragazzi ritrovati, non è detto che nella vita ci sia per forza un lieto fine e non è detto neanche che debba finire in un vicolo per strada, ma sicuramente ciò che resta di questa storia è che la vita da molte opportunità, a volte meritate a volte no, sta a noi protagonisti della nostra storia scegliere se coglierle o meno, coscienti che le conseguenze toccheranno noi in prima persona e chi ci sta accanto, sia che ci troviamo noi stessi sul ciglio di un baratro, sia che che invece ci si trovi qualcuno accanto noi, nel nostro piccolo o grande, abbiamo influenza sugli altri e sta a noi scegliere se e come sfruttarla.

Articolo a cura di Marco Alvino