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La crisi in Sudan: un’urgenza dimenticata

La recente crisi che ha colpito il Sudan ha assunto proporzioni ben oltre una semplice “guerra civile”, trasformandosi in una vera e propria crisi internazionale. Nonostante l’urgenza e la gravità della situazione, sembra che questa crisi abbia perso la sua rilevanza mediatica nei principali canali di informazione italiani. Tuttavia, è fondamentale porre l’attenzione su questa crisi trascurata, e per farlo la testimonianza del Direttore della sede di Khartoum dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), Michele Morana, riveste un ruolo di straordinaria importanza.

Secondo quanto si può comprendere dalle informazioni riportate dai giornali, i colleghi di Morana rimangono nel paese, mentre gli uffici italiani sono stati chiusi per motivi di sicurezza. Attualmente, si sta aspettando il supporto del Ministero degli Affari Esteri italiano per poter riprendere le attività e fornire assistenza alla popolazione.

La situazione attuale è caratterizzata da grande apprensione e gli sforzi del personale italiano si concentrano principalmente sul sostegno alla popolazione in una situazione sempre più precaria. La capitale Khartum sembra essere diventata una città fantasma, con la maggior parte delle persone che si sono spostate altrove mentre solo pochi sono rimasti. Le infrastrutture cruciali come scuole, istituzioni e ospedali sono state bombardate, rendendo impossibile operare anche se il conflitto dovesse terminare in tempi brevi.

Nonostante le difficoltà, la sede di Khartum (una città nel Sudan) è ancora operativa all’80%, mentre si cerca di mantenere attive le attività anche nella regione di Darfur. Tuttavia, operare è diventato estremamente complesso e sostenere il settore sanitario è diventato quasi impossibile. Le attività che sono state sospese includono principalmente quelle a Khartum e alcune a Darfur.

La cooperazione italiana nel Sudan si concentra principalmente sulla fornitura di fondi umanitari, mentre il Sudan stesso riceve maggiori finanziamenti rispetto agli altri stati. Nel 1997, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni al Sudan a causa dell’ospitalità fornita a Osama Bin Laden, mentre nel 2021 il paese ha affrontato uno degli ultimi colpi di stato. Da allora, i rapporti con il governo sudanese sono stati interrotti.

L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) svolge un ruolo fondamentale nel fornire assistenza al Sudan. Grazie ai finanziamenti dell’Unione Europea, sono stati aperti alcuni uffici finanziari per gestire i fondi. La modalità di implementazione utilizzata non coinvolge tutti i canali di finanziamento utilizzati dalla cooperazione italiana, ma si basa principalmente su canali bilaterali e multilaterali. Il 42% dei progetti riguarda lo sviluppo a lungo termine, mentre il 30% è destinato all’emergenza.

AICS collabora con diversi partner sia pubblici che privati, tra cui Punto Sud, Relief, UNWOMEN, Sant’Anna Cima e molti altri. La cooperazione delegata è stata avviata nel 2016, con sette programmi che sono stati realizzati fino ad oggi e ci sono cinque uffici nel Paese aperti per la gestione dei diritti dello stesso.

Tuttavia, a causa dell’aggravarsi della situazione, i programmi in corso devono essere riformulati. Attualmente, c’è un disperato bisogno di ospedali e mezzi sanitari, ma tutto rimane in sospeso fino a quando la guerra non si placherà.

Le organizzazioni non governative (ONG) presenti nella regione chiedono aiuti di qualsiasi tipo, data la gravità della situazione. Un incontro con la Banca Mondiale è previsto per il 26 maggio 2023, al fine di indirizzare fondi in direzione umanitaria che inizialmente erano destinati ad altri scopi.

Oltre al Sudan, AICS gestisce anche uffici in altri paesi e regioni limitrofe, tra cui l’Eritrea, che viene gestita dall’ufficio di Khartum. Tuttavia, se la situazione dovesse peggiorare ulteriormente o persistere, sarà impossibile operare anche in queste aree. Per il Sudan, l’agenzia internazionale dispone di un budget di 104 milioni di euro per fornire assistenza al paese. Il 42% di questi fondi viene utilizzato per il settore sanitario, il 14% per gli aiuti umanitari, il 12% per le questioni di genere, l’8% per le migrazioni e il consolidamento della pace, il 6% per l’agricoltura e lo sviluppo e il 3% per l’educazione.

La situazione attuale nel Sudan richiede un intervento urgente e una maggiore attenzione da parte della comunità internazionale. È fondamentale che gli sforzi umanitari vengano intensificati per affrontare le sfide e fornire assistenza ai bisognosi in questo momento critico.

Inoltre, al termine dell’incontro il direttore Michele Morana ha risposto a qualche curiosità e una domanda riguardava i finanziamenti in Sudan e le è stato chiesto se si potessero dirottare anche per aiutare i profughi negli altri paesi nel caso non potessero essere usati per il Sudan.

La risposta del direttore Morana è stata la seguente: “Il Sudan ha dei confini con altri paesi e ha sempre accolto i rifugiati che stanno peggio del Sudan, che sono il Chad, il Sud Sudan da quando si è staccato, tati sud sudanesi sono venuti in Sudan e al momento si sta verificando il contrario, cioè tutti i sudanesi , compresi i rifugiati, che non stanno tornando in Chad ma stanno emigrando nella Repubblica Centrafricana, Essendo la repubblica centrafricana uno dei nostri paesi di competenza è quello che chiederemo ma non abbiamo ancora chiesto, la situazione è ancora in evoluzione, non dimentichiamo che è un mese che è scoppiata la guerra, il 15 di aprile è scoppiata la guerra e siamo ancora all’inizioe l’idea è quella di supportare i profughi anche Centrafricani. La modalità, quella è fattibile, poi noi abbiamo un ufficio emergenza centralizzato a Roma ma i finanziamenti per l’emergenza in particolare sono di responsabilità del ministero, noi facciamo da abbraccio tecnico. […] Noi adesso abbiamo assolutamente un piano regionale, mi riferisco al mio mandato precedente dove avevamo dei progetti regionali umanitari sulla Giordania per i rifugiati siriani, quindi credo che la stessa modalità si possa attivare anche con i sudanesi rifugiati nei paesi circostanti. Io credo che si usa e credo che sia una modalità utile fare, poi io non avendo avendo anche la Repubblica Centrafricana sento anche l’ambasciatore a cui chiedo questa possibilità di intervento per i profughi sudanesi perché pare che stiano diventando uno dei problemi del governo. non sono io a deciderlo ma credo che sia una delle modalità che si possono adottare”.