Quattro date al Teatro Argentina in collaborazione con il Romaeuropa Festival per l’adattamento teatrale di La Ferocia, romanzo di Nicola Lagioia vincitore del premio Strega e del premio Mondello nel 2015, scritto per il teatro da Linda Dalisi e diretto da Michele Altamura e Gabriele Paolocà, con le interpretazioni di Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Marco Morellini, Gabriele Paolocà e Andrea Volpetti.
Latifondisti del XXI secolo
Una musica entra nei paesi e raccoglie il dolore di ogni singolo per disperderlo di nuovo tra le rocce e gli uliveti, simile alle ceneri delle generazioni morte, in modo che su ognuno gravi la stessa pace. In questo è l’infelicità del Sud, il suo intaccato privilegio.
Sulla destra una cabina dallo sfondo blu, con un narratore che introduce la storia della famiglia Salvemini, al centro del palco un set mobile di stampo minimalista (opera dello scenografo Daniele Spanò) in cui delle porte finestre scorrevoli separano lo spazio esterno da quello della casa, da dove Vittorio Salvemini (Leonardo Capuano), quasi non esce mai e spicca come una figura autoritaria su tutto e tutti. Imprenditore edilizio proprietario di un impero dai loschi retroscena, Vittorio Salvemini è un personaggio molto noto a Bari e con amicizie potenti.
Latifondisti del XXI secolo, la famiglia Salvemini sembra separata dal mondo nella propria villa, in un dramma familiare dove all’autoritarismo del padre si specchia la debolezza e le difficoltà dei figli, per cui le uniche possibilità sono fuggire, piegarsi al volere paterno, o abbandonarsi alla droga. Michele, Ruggiero e Clara, figli imperfetti, figli traumatizzati, rispondono ognuno a modo loro alla ferocia quotidiana della villa familiare. A turbare la ormai consolidata normalità, vi è la morte di Clara, corpo invisibile nella rappresentazione teatrale attorno a cui ruotano i personaggi protagonisti, come una Laura Palmer ritrovata ai piedi di un autosilo barese piuttosto che nella contea di Twin Peaks.
Ruggiero, oncologo totalmente piegato al volere paterno e braccio destro nelle sue operazioni; Michele, fratellastro avuto da un’amante del padre, che manca da casa da 10 anni dopo essere fuggito per diventare giornalista a Roma; la madre Annamaria e Alberto, marito di Clara, chiudono il cerchio familiare, in un ritratto dove più che i rapporti affettivi si mettono al centro i rapporti di sudditanza reciproci.
Quando moriva un sedicenne, talvolta anche un ventenne, le chiese erano invase da questo esercito di ragazzini e ragazzine. […] Quando ad andarsene erano i sessantenni, accorrevano i colleghi di lavoro. I novantenni erano specializzati nel trascinarsi dietro interi paesi. Ma erano i trentenni la tragedia. I trentacinquenni, non di rado i quarantenni. Non c’erano colleghi di lavoro perché spesso non c’era lavoro. E quando il lavoro c’era, i colleghi erano troppo impegnati nella lotta per la sopravvivenza. Gli amici – quelli veri, quelli che un tempo lo erano stati – erano lontani, persi nelle città del Nord, dentro i pantani delle loro vite.
Le luci soffuse di Giulia Pastore e le musiche cupe che svariano dal dark ambient al poliziottesco italiano anni ’70 di Pino Basile, rendono La Ferocia è un vero e proprio thriller dal sapore quasi cinematografico, ma che non dimentica mai la sua natura romanzesca, grazie alla voce narrante (che si fa anche comparsa) e che spesso risponde ai dialoghi dei protagonisti, ma soprattutto teatrale, in cui gli attori realizzano un impressionante lavoro sulla voce e sull’intonazione che rende ogni frase una coltellata, in cui la violenza non è mai mostrata esplicitamente ma è sempre dietro l’angolo, un’atmosfera che si respira e che si assorbe dagli sguardi, dalle urla, dai sussurri e dalle risate.
Tra monologhi che attraversano il tempo e più piani temporali in scena contemporaneamente, il ritratto de La Ferocia è quello di un sud combattuto tra l’inerzia dei peccati dei padri, e il tentativo di emancipazione dei figli, di cui Michele si fa protagonista, indagando sulla scandalosa verità dietro l’apparente suicidio della sorella Clara e scoprendo gli interessi economici in ballo tra i vari personaggi che si accostano nella villa paterna, tanto bianca nelle sua mura quanto oscura nelle sue ombre.