La mattina del 19 aprile le strade di Caracas e di tante città venezuelane sono state testimoni della disperazione del popolo, che vuole finalmente vedere un cambio. Le tensioni in Venezuela non sono per niente nuove: da quando l’attuale presidente Nicolas Maduro è salito al potere come “il figlio di Chávez” nel 2013, la situazione economica, politica e sociale del paese è solo andata in discesa.
Oggi, il gap tra la classe alta e quella bassa è più grande che mai, visto che la classe media sta sparendo. Così come stano sparendo i prodotti di prima necessità dei venezuelani. Le persone si devono mettere in fila dalle prime ore del mattino per ricevere qualcosa da mangiare, a prezzi inaccessibili per la grande maggioranza. Il salario minimo è pari a 40.683 bolívares (circa 8 euro) e una scatola di uova costa 9.400 Bs. (circa 1.8 euro), con un inflazione che si stima quest’anno essere al 720%. Inoltre, il tasso di criminalità e violenza per strada è tra i più alti al mondo (al secondo posto, solo preceduto dall’Honduras). Secondo i dati ufficiali, nel 2016, si sono registrate 28.479 morti per cause violente, a cui si devono aggiungere tutti quelli che sono morti per l’assenza di medicine e l’incapacità di trattare malattie anche guaribili. In Venezuela, manca il cibo, manca la luce, manca l’acqua ma non mancano criminalità e repressione.
In gennaio del 2016, la Corte Suprema ha sospeso le elezioni di quattro legislatori per presunte irregolarità nel voto. L’opposizione l’ha accusata di tentare di diminuire il proprio potere e ha comunque proclamato i tre legislatori opositores. Più tardi, a novembre, non è stato concesso il diritto a svolgere un referendum revocatorio, anche se tutte le firme necessarie erano state raccolte, compiendo il più grave gesto possibile di non democrazia. Inoltre sono state sospese le elezioni regionali fino al 2017 (ancora non avvenute). L’instabilità politica è arrivata all’apice il 30 marzo 2017, quando la Corte Suprema ha sottratto tutti i poteri legislativi all’Assemblea Nazionale, organo parlamentare guidato dall’opposizione. Subito dopo, sono scaturite le proteste e il provvedimento è stato ritirato, ma le manifestazioni non si sono fermate. L’ambizione dei venezuelani è avere un cambio di governo in maniera democratica visto che circa il 70% del popolo non appoggia Maduro (dati forniti dal partito Voluntad Popular nel 2017).
Oltre a 6 milioni di venezuelani, più di due milioni e mezzo solo a Caracas, sono scesi in piazza durante la giornata del 19 aprile seguendo la chiamata dei leader oppositori al governo, con la speranza di trovare un’uscita del regime quasi dittatoriale imposto da Maduro e il suo gabinetto. Soprannominata come “la madre di tutte le marce” ieri i venezuelani hanno applicato il loro diritto a manifestare pacificamente, ma si sono trovati soffocati dai gas lacrimogeni e dalle pallottole della Guardia Nazionale, il cui dovere è proteggere il popolo, ma che in realtà non fa altro che reprimerlo. C’è stata una forte resistenza e si è riusciti a mandare indietro alcuni dei blindati della polizia, anche se per protezione tanti si sono dovuti buttare al fiume Guaire, pieno di scarichi ed altamente contaminato. Si sono registrati 538 detenzioni e 7 morti, quasi tutte di giovani studenti, senza contare tutti quelli che sono stati feriti direttamente dalla Guardia o Polizia Nazionale e dai “colectivos” e “milicianos”, che sono i civili armati dal governo, la cui unica missione è causar paura e terrore “nel nome della Rivoluzione”.
Alla fine della giornata, il leader dell’opposizione Henrique Capriles ha chiamato il popolo a manifestare un’altra volta oggi e ha auspicato che non le proteste non si dovranno fermare finché Maduro non si dimetta e si acceleri il processo per le elezioni.
Per le notizie aggiornate è possibile consultare la pagina http://www.internazionale.it/tag/paesi/venezuela
Maria Victoria La Terza