Mercoledì 5 marzo 2025, presso l’edificio Marco Polo dell’università La Sapienza di Roma, si è svolto il seminario “testo-natura”, volto alla riflessione sulla scrittura poetica nel contesto ecologico.
A presentare l’evento è stato il poeta italiano Alessandro De Francesco, che ha letto in aula alcune delle sue poesie tratte dal libro “E agglomerati, degli alberi, o”, spiegandone poi i significati che si celano dietro la sua poetica.
Prima di affrontare la questione del testo-natura, conosciamo un po’ il nostro poeta.
Alessandro De Francesco si è laureato in filosofia all’Università di Pisa, ha compiuto in seguito ulteriori studi letterali e musicali in varie università europee, per poi intraprendere il suo percorso nel campo della poesia contemporanea. La passione e la sua dote poetica lo portano presto a dimostrare il suo talento: Alessandro De Francesco pubblica la sua prima raccolta di poesie nel 2008, nel libro intitolato “Lo spostamento degli oggetti”, vincendo il Premio Shelley. Sempre nel 2008 ha persino tenuto la master class di poesia dell’European Graduate School. Per quanto riguarda la sua carriera universitaria, ha insegnato poesia italiana contemporanea all’Ecole Normale Supérieure di Lione e scrittura creativa presso l’Ecole Normale Superieure di Parigi fino al 2011. Dopo aver passato un periodo in Svizzera, attualmente è docente di Scrittura creativa all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, città in cui vive tutt’ora dal 2023.
Nell’evento tenutosi questo giovedì 5 marzo, Alessandro ci racconta l’importanza della poesia nel contesto odierno. In particolare, la poetica ecologica, una poesia che abbraccia le tematiche emergenti e che ha la capacità di far sentire al soggetto l’anima stessa della natura che lo circonda. Questa è la vera essenza e bellezza del testo-natura (quale testo-materia): un continuum tra dimensione testuale e dimensione ambientale! Quella di cui il nostro poeta italiano ci sta parlando è un tipo di scrittura che richiama l’idea di abitare, di ridurre la distanza da quello spazio che allontana il soggetto dall’ambiente. Quello che Alessandro De Francesco intende sottolineare è il fatto che il testo poetico esiste, a prescindere da tutto; non è una poesia che rappresenta: lei è già iscritta nella materia. Infatti, Alessandro parla di “esospezione”, una parola da lui inventata poco prima di tenere il suo seminario. Con tale termine, vicino a quello di introspezione, Alessandro vuole intendere l’esistenza di una relazione tra soggetto e testo rivolta in questo caso verso l’esterno, verso il mondo-ambiente da cui poter percepire tutta l’intensità emotiva. Non parliamo di una poesia che vuole comunicare qualcosa, ma di una poesia esperienziale, di semplici e genuini versi poetici che vogliono far arrivare al soggetto tutta la carica emotiva della natura.
Soggetto, testo e ambiente si connettono attraverso la poesia ecologica, una forma poetica che riguarda tutto il non-verbale: è così che Alessandro De Francesco vive l’esperienza poetica. Si tratta di una poesia che sa cogliere le molteplicità del mondo, che sa sentire, nel tentativo di creare un’empatia collettiva (cosa che ad oggi servirebbe davvero!).
In ultimo, per comprendere a pieno la rarità del linguaggio poetico, Alessandro ci parla di “conoscenza senza comprensione”: la poesia non è un linguaggio che vuole dimostrare qualcosa o che si può logicamente comprendere. Il linguaggio della poesia è un linguaggio sensibile, e che produce una reazione sensibile nel soggetto. Si tratta di un processo di comprensione del reale che non avviene razionalmente, ma a livello emotivo, nato dall’unione del soggetto ricevente e dalla poesia considerata un agente vivo.
Ecco alcuni versi del nostro poeta Alessandro De Francesco…
andando a fare la spesa in un supermercato meno caro
aggiunge una terza persona di mezza età sedendosi di fronte ancora
con la cuffia igienica ed i guanti suo figlio in cerca di lavoro
il marito sempre davanti alla televisione abbiamo imboccato
per sbaglio un sentiero lungo alcune villette in costruzione
sono bastati pochi metri e il canto (o era un discorso?) degli uccelli
ha reso la vista degli ambienti esterni fuori fuoco
e come accartocciati benché lisci mentre dove eravamo
noi erano solo versi di animali ormai e riccioli di rami
foglie e fiori in moto aggregati minerali
inquadrati dall’arco di un cespuglio di more dei fagiani
si muovevano sul prato di fronte come concetti come nubi interstellari
il buio del sonno corrisponde forse al nero dello spazio
per qualche ora fuori dalla propria condizione di individuo
un muretto di calce tracciava un perimetro
attorno a un giardino vuoto anzi pieno ma di terra scura
confida una persona qualsiasi ad un’altra sedute al tavolo della mensa
in pausa dal lavoro poi mentre mi lasciavo andare ad uno stato
di pericolo animale imminente e senza contorni definiti
quella stessa area si è riempita molto velocemente
con fiori selvatici tendenti al bianco e al giallo chiaro
e di tante forme e lunghezze diverse
mentre la parte esterna rimaneva fuori fuoco
e come accartocciata benché liscia