Nel campo del marketing la profilazione è uno strumento fondamentale e basilare nella creazione della strategia per la vendita di un determinato brand. Essa, infatti, consente di capire al meglio le esigenze dell’utente o del possibile fruitore mediante la stesura di un profilo ad hoc, grazie all’identificazione e la raccolta di dati personali. Con la digitalizzazione procedure come queste sono state maggiormente perfezionate e sempre più aziende, nelle loro strategie di marketing, abbandonano i metodi ormai ritenuti fuori tempo per varcare la frontiera delle personas: profili basati sui i dati sensibili forniti dagli stessi utenti.
I grandi colossi come Google, Safari, Amazon, perfino Netflix, se pur in modi diversi, hanno adottato queste procedure per garantire un’ottimazione nella navigazione delle loro pagine o dei loro siti, rendendo così i contenuti forniti più appetibili, utili e fruibili per gli utenti, mediante l’utilizzo di algoritmi, cookies e strumenti SEO.
Questo concetto se pur estremamente sintetizzato servirà come modello per capire il meccanismo che sta alla base delle piattaforme social. La proliferazione sui social non coinvolge soltanto gli account iscritti, ma anche quelli non iscritti. Nel momento in cui accediamo ad una piattaforma social come Facebook, Instagram o Twitter – per citare alcuni colossi della Silicon Valley – automaticamente diamo il consenso all’utilizzo dei nostri dati sensibili. Questi dati verranno ricavati sia dalle informazioni che noi stessi forniamo nei nostri account sia dalle nostre interazioni durante la navigazione.
Raccogliere maggiori dati porta alla creazione di un profilo sempre più dettagliato: questo consentirà alle piattaforme di fornire contenuti sulla base dei nostri interessi e delle cose che più ci piacciono. Questo modus operandi utilizzato può far sorgere due criticità fondamentali: la tutela della nostra privacy e la nostra possibile suggestione e manipolazione.
Per tutelare la nostra privacy e libertà personale, l’European Data Protection Board (EDPD) ha pubblicato delle linee guida – tenendo conto del General Data Protection Regulation (GDPR) – a causa dei rischi a cui incorriamo durante la profilazione sui social network. Questo ha senz’altro dato un ordine e un freno alla vorace raccolta dei nostri dati ma in maniera, si potrebbe dire, fittizia. Infatti, secondo il regolamento la raccolta dei dati non può avvenire senza il consenso dell’utente, ma molto spesso alcuni siti sono inaccessibili senza avere un previo consenso. Un gioco di scacchi ben arbitrato di cui noi risultiamo essere le pedine costrette a catturare il pedone nemico per poi farci catturare a nostra volta.
Senza dubbio una macchina ben oliata: “io ti offro un contenuto gratuito, tu in cambio mi dai i tuoi dati”. Su questo scambio si fonda il timore della manipolazione e della suggestione dei social nei confronti degli utenti. Più i contenuti sono creati ad hoc più incorreremo in un sistema di filter bubble che inevitabilmente innesca un meccanismo di chiusura nella fruizione dei contenuti a cui possiamo accedere. Vivendo in queste bolle di filtraggio ogni utente è bombardato da contenuti interessanti e a lui più vicini. Questo, non soltanto, in futuro potrà causare una percezione distorta della realtà che lo circonda, ma anche una maggiore convinzione ed estremizzazione delle proprie idee.
Sulla base di questi presupposti, come diventerà la società del domani?