Lo scorso 3 giugno si è tenuto l’ultimo degli incontri di Colloquia 2024 presso l’aula Storia della Musica Nino Pirrotta, dove Pietro Cavallotti, affermato studioso di musicologia in Europa nel secondo Novecento, ha presentato un resoconto del suo lavoro.
La conferenza, dal titolo “Cosa ci raccontano le fonti? Il pensiero seriale tra questione filologiche e mutazioni di paradigmi storiografici” , si focalizza sul tema della serialità in musica, analizzando direttamente il lavoro dei suoi protagonisti.
Innanzitutto, Cavallotti ha introdotto il concetto di pensiero seriale, legato alla composizione musicale e basato sul lavoro del noto compositore Arnold Shöneberg. Quest’ultimo si è occupato del concetto di pensiero seriale in musica ed in particolare del concetto di serialità multiparametrica, i cui 4 parametri altezza/durata/intensità/timbro vengono sistematicamente applicati alla scrittura compositiva.
Ci si è poi focalizzati sull’emergere di questa tendenza a partire dall’esperienza della Scuola di Darmstadt, le cui lezioni estive hanno formato autori come Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen. In questo luogo e durante queste lezioni nasce effettivamente la musica seriale: il primo tentativo di mettere in pratica la serialità, applicandola a parametri come l’altezza, la dinamica e l’intensità è Olivier Messiaen, ma il manifesto del genere è del 1951, quando Pierre Boulez scrive la Structure I per 2 pianoforti, una composizione essenziale, ma che nella sua semplicità mostra le regole applicate da questo filone di autori nell’opera compositiva.
Altri esempi, come quello della scuola Veneziana dimostrano che la serialità in musica non proviene da uno specifico luogo geografico o da un gruppo specifico di persone, bensì da una più generale tendenza che caratterizza lo zeitgeist musicale durante il Novecento.
Gli autori, attirati dalla ricerca e lo studio degli oggetti sonori concepiti da Pierre Boulez, hanno spianato la via a tutta la produzione musicale sperimentale successiva, come ad esempio il lavoro di Stockhausen, che ne “Il canto dei Fanciulli” si occupa di produrre suoni totalmente nuovi ed inediti, utilizzando i nuovi mezzi tecnologici a sua disposizione e proiettandosi ad un futuro dove la musica elettronica assume un ruolo di fondamentale importanza nel panorama musicale.