Secondo appuntamento della XIII edizione di Unplugged in Monti, il 6 novembre 2024 è salita sul palco dell’Alcazar di Roma Lætitia Sadier, cantante del gruppo franco-britannico Stereolab che con il suo mix tra jungle pop inglese, canzone pop francese, krautrock tedesco, tropicalismo brasiliano, jazz ed elettronica è uno dei gruppi più iconici degli anni ’90.
È del 23 febbraio di quest’anno infatti l’uscita dell’ultimo lavoro solista della cantante francese, Rooting for Love, che è stato il protagonista della serata dell’Alcazar, anche se non sono mancate escursioni anche nel materiale precedente (sempre solista). Ad aprire la serata è stato Pink Shabab, artista dance pop di stanza a Londra che ha fatto danzare l’Alcazar con il suo groove notturno molto apprezzato dal pubblico.
Una volta salita sul palco Lætitia Sadier inizia a dialogare e interagire con gli spettatori, un dialogo favorito dalla sala dell’Alcazar, sviluppata più in orizzontale rispetto al palco che in verticale, creando da subito un’atmosfera informale e più intima. L’artista, dopo un pezzo che “parla di essersi persa nello spazio” suonata chitarra e voce, in cui già si sentono le caratteristiche voci sospese piene di riverbero e schitarrate delicate e sognanti ma decise, presenta ironicamente la sua band: “the machine”. Non è un riferimento a Florence + The Machine, Sadier è effettivamente sola sul palco dall’inizio alla fine del set, accompagnata in alcuni brani dalla band registrata e in altri da sola creando i propri loop volta per volta fino a creare soundscapes sofisticati e avvolgenti che includono elettronica, trombone, chitarra e cori.
Non mancano anche i riferimenti all’attualità. Difficile non pensarci dato che la notte prima in America veniva confermata l’elezione di Donald Trump come nuovo presidente degli Stati Uniti. “Reflectors”, pezzo basato su giri di chitarra che ricordano da vicino il minimalismo di Steve Reich e presente nell’album del 2017 Find Me Finding You, viene presentata da Sadier come un brano che “risuona con il personaggio che è stato eletto ieri”, archetipo di quel tipo di rabbia grezza per cui assorbiamo la normalizzazione di questo tipo di linguaggio guerrafondaio che normale non è. Non mancano anche riferimenti alla violenza di genere in “Don’t Forget Your Mind” e un omaggio al filosofo francese Bernard Stiegler, scomparso nel 2020 in “Panser L’inaccettable”.
Dopo la trance di “Cloud 6”, brano finale del nuovo album in cui Sadier costruisce un complesso e a tratti inquietante sabbah stregonesco fatto di elettronica, chitarre, cori che suonano come echi lontani e trombone suonato sul microfono ancora pieno di riverbero con un effetto spettrale e sospeso, il concerto si avvia verso la conclusione con gli ultimi pezzi, fino alla cover finale di “You’re on Your Own Again” di Scott Walker.
Nel sole di Roma, esaltato da Sadier nel suo continuo dialogo con il pubblico, solo leggermente oscurato dall’ombra dell’elezione di Donald Trump, la cantante francese lascia l’Alcazar con un messaggio di speranza e comunione verso il futuro. Un set minimale e intimo, nel pieno stile della selezione di Unplugged in Monti, che ha portato a Roma una delle artiste più influenti e sperimentali del pop degli ultimi 30 anni.