Testimonianze e storie inedite dal Ghetto Ebraico di Roma verso la Giornata della Memoria 2024
18 gennaio, Sala Baldini, Chiesa di Santa Maria in Portico in Campitelli, Roma. Queste mura sono state involucro e prigione, hanno ascoltato voci sussurrate e profondi silenzi, hanno visto sguardi di paura e di speranza e persino una madre partorire, vita contrapposta a morte. Siamo a pochi passi dal Teatro di Marcello e dal Portico d’Ottavia, nel cuore di quello che era il Ghetto Ebraico. In questo luogo, come in altri numerosi collegi e chiese, parroci e religiosi salvarono famiglie ebree dalla deportazione nazista. È quanto emerge dall’apertura dell’Archivio Apostolico Vaticano, confrontati con la documentazione dell’Istituto Biblico nelle ricerche sui dossier legati al pontificato di Pio XII, condotte e divulgate dal docu-film “Quel sabato nero”, realizzato da Fausta Speranza e Stefano Gabriele e presentato durante il convegno “L’amicizia che vince le guerre – testimonianze e storie: oggi da Gerusalemme… ieri da Roma e Markowa”. Quel sabato nero è il 16 ottobre 1943, giorno in cui i reparti delle SS dettero il via agli arresti degli ebrei romani. Oggi come ieri perché per i bambini, ottant’anni fa come ai giorni nostri, non esiste differenza tra i motivi scatenanti di una guerra, essi non riconoscono fazioni né territori, come ci rammenta il libro scritto a quattro mani da Pawel Rytel Andrianik e Manuela Tulli su la vicenda della famiglia cattolica polacca Ulma, trucidata nella loro casa a Markowa per aver aiutato una famiglia ebrea a nascondersi. “Uccisero anche i bambini”, questo il titolo che, spiega l’autrice, suona come imperativo che purtroppo può essere coniugato ancora al presente dinnanzi agli orrori sulla scena come dei conflitti tra Palestina e Israele, Russia e Ucraina, in Afghanistan, in Libia, in molti paesi dell’Africa e del resto del mondo. I bambini ebrei che la famiglia Ulma ospitava correvano di notte sui prati. Di notte soltanto però.
E l’amicizia proposta come soluzione. Nel significato più stretto di philia (φιλία), il vocabolo che il greco antico utilizzava per riferirsi all’amicizia come legame fraterno che comporta non solo un’alleanza ma buona fede, fiducia nell’altro. Amicizia non intesa come un termine che intendi esclusività (e accordi di privilegio) dalle restanti parti ma, come ci ricorda nel suo intervento il professore di diritto ecclesiastico e canonico della Pontificia Università Lateranense Antonello Blasi, che porti persone ed enti diversi quanto più diversi tra loro a scendere in campo non individualmente ma insieme. “La parola amicizia è entrata da poco a far parte nel diritto internazionale e concordatario”, esiste tuttavia un diritto all’amicizia. “L’amicizia deve precedere il diritto, quando si è amici il principio naturale che scaturisce è quello della buona fede”.
Le sue parole riecheggiano in quelle di
Fausta Speranza (“il concetto di stare-insieme è espresso meglio nella parola inglese “Together” che è un unico termine) che narra della propria esperienza di indagini per la produzione del documentario. Lo fa parlando di una ONG israelo-palestinese, “Combatants for Peace”, un movimento di azione non violenta che laddove sul campo si fa fa battaglia loro tornano con pianoforti e mazzi di fiori, manifestazioni artistiche e laboratori e progetti culturali. “Sono ex combattenti nemici provenienti da fronti diversi che optano per guardarsi negli occhi. Una storia simile alla celebre vicenda degli eserciti che nella prossimità del Natale si riconoscono uomini e sospendono per le feste le ostilità” afferma. “Solo guardandosi negli occhi e riconoscendosi nel dolore dell’altro si può costruire un futuro di bellezza” le replica la conduttrice Cristiana Caritato, vaticanista per tv2000, che modera l’incontro di stasera. A me tornano in mente i versi della Guerra di Piero di De André quando cantava “aveva indosso il tuo stesso umore ma la divisa di un altro colore”. C’è un’altra associazione poi, racconta Speranza, unica nel suo genere perché sfoggia lo slogan paradossale che nessuna organizzazione farebbe proprio: “Noi non ti vogliamo”. La voce è quella dei genitori delle vittime che compongono l’associazione Parents Circle – Family forum, a cui nessuno vorrebbe tesserarsi.
Tra i relatori si distingue Sr Grazia Loparco, salesiana docente alla Pontificia Università Auxilium che rievoca un incontro che le ha cambiato la vita, nei primi anni ’80, con Primo Levi che intervistò per scrivere la tesi, da lì scaturì l’interesse, l’impegno negli studi e la ricerca sulla storia della Seconda Guerra Mondiale e degli eventi della Chiesa e dei cattolici in un periodo ancora così controverso. “La testimonianza è un dovere nei confronti delle nuove generazioni (…) le parole hanno un peso e bisogna usarle bene” l’insegnamento più prezioso che rammenta avere appreso dallo scrittore di Se questo è un uomo e che “Aveva un senso dell’umanità molto austera che sa guardare le cose con grande onestà”.
Memoria che in questi giorni si fa viva in una nuova veste ma pur sempre con elementi comuni a tutte le guerre, anche in quelle terre che tra Gaza e Gerusalemme, sin dall’antichità sono crocevia di culture e pervase dal sacro in cui coabitano più religioni e in cui la guerra, senza alcuna pietà, trascina con sé tante vite innocenti.
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