Estende gli orari di ingresso con una serie di aperture straordinarie la grande mostra “Il mondo fluttuante. Ukiyoe. Visioni dal Giappone”. Si tratta di un percorso espositivo che coinvolge centocinquanta capolavori dell’arte giapponese tra il Seicento e l’Ottocento, e che sarà in corso fino al 23 giugno 2024 al Museo di Roma a Palazzo Braschi.
Il grande successo riscosso dall’esposizione, che ha accolto in due settimane di apertura ben 15.000 visitatori, ha portato ad una protrazione degli orari di apertura della mostra: essa rimarrà straordinariamente aperta fino alle 21:00 nelle giornate di sabato, domenica e festivi a partire da sabato 9 marzo, con ultimo ingresso previsto alle ore 20:00.
Ma le buone notizie non si fermano qua: la mostra sarà aperta in via eccezionale anche lunedì 1° aprile 2024 in occasione di Pasquetta, dalle ore 10:00 alle ore 21:00; in occasione della festività del 25 aprile, l’orario di apertura sarà prolungato fino alle 21:00 (anche questa volta con ultimo ingresso ore 20:00).
Nei restanti giorni della settimana, dal martedì al venerdì, l’orario di apertura rimane invece invariato: dalle ore 10:00 alle ore 19:00, con ultimo ingresso alle 18:00.
La mostra, curata da Rossella Menegazzo, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e coprodotta e organizzata dalla Sovrintendenza Capitolina e da MondoMostre con il supporto di Zètema Progetto Cultura, presenta centocinquanta capolavori dell’arte giapponese di epoca Edo realizzati tra il Seicento e l’Ottocento. Essa si focalizza su quello che è stato il filone artistico più innovativo del tempo, ancora oggi influente a livello internazionale: l’ukiyoe. Letteralmente traducibile come “immagini del mondo fluttuante”, l’ukiyoe è un genere pittorico nato in epoca Edo, ossia tra il 1603 e il 1868. Attraverso esso venivano realizzati rotoli da appendere e da srotolare tra le mani, paraventi di grande formato, dipinti a pennello su seta o carta e stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta.
Quello che si ricava dalla mostra è una panoramica dell’arte che ha occupato i circa duecentocinquant’anni sotto il governo militare dei Tokugawa: un lungo periodo di pace segnato da grandi cambiamenti sociali, economici ed artistici che, dalla metà dell’Ottocento, si chiuse con la riapertura forzata del Paese agli scambi con le potenze occidentali.
Nell’esposizione sono mostrate le opere dei più importanti maestri dell’ukiyoe. Si contano oltre 30 artisti: un viaggio che parte dalle prime scuole Seicentesche come la Torii e arriva ai nomi più noti di Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai, Tōshusai Sharaku, Keisai Eisen e alla grande scuola Utagawa, che con Toyokuni, Toyoharu, Hiroshige, Kuniyoshi e Kunisada raggiunse l’apice e forse anche il dissolvimento del genere quando i tempi stavano ormai cambiando.
Rossella Menegazzo, curatrice della mostra, ha dichiarato: “L’ukiyoe, oggi conosciuto in tutto il mondo come il filone artistico giapponese preminente per la forte influenza che ha avuto sull’arte europea dell’Otto e del Novecento, in realtà rappresentò per l’epoca anche un nuovo mezzo di divulgazione – attraverso le immagini e i libri illustrati – di valori culturali nuovi che si andavano imponendo. Dietro a rappresentazioni di un mondo di piaceri e intrattenimenti terreni spesso si celavano insegnamenti, concetti morali e messaggi che venivano passati abilmente, scavalcando la forte censura governativa che voleva colpire il lusso e le classi emergenti. Le opere in mostra ci raccontano quanto quella di Edo fosse una società alfabetizzata e come si usassero le arti come disciplina formativa dell’individuo. Ma ci raccontano anche l’apertura del Giappone all’Occidente e i rapporti speciali che il paese ebbe con il Regno d’Italia, poiché tutti i pezzi esposti provengono dalle collezioni di artisti o diplomatici italiani, i primi viaggiatori e residenti in Giappone nella seconda metà dell’Ottocento”.
Un’esposizione che offre l’opportunità di entrare in contatto con l’antica tradizione orientale attraverso la sua arte, e che ha pertanto allietato l’assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor: “Sono felice che il Museo di Roma ospiti una così prestigiosa e rappresentativa selezione di un genere pittorico che ha attraversato i secoli, rappresentando un punto di svolta nella storia dell’arte giapponese e influenzando non solo la cultura nipponica ma quella di tutto il mondo. L’ukiyoe ha influenzato infatti numerosi artisti occidentali, da Van Gogh a Monet, fino agli odierni manga, diventando un ponte culturale tra Oriente e Occidente e Roma, che nella sua lunga storia è stata sempre aperta alle altre culture, rappresenta il luogo ideale per accogliere queste opere straordinarie”.
LA MOSTRA
L’esposizione si snoda attraverso un percorso di sette sezioni che accompagnano il pubblico alla scoperta di aspetti molteplici del lungo periodo Edo.
Il percorso inizia mostrando come la rappresentazione della bellezza femminile (bijin), soggetto centrale dell’ukiyoe, sia diventata veicolo di diffusione non solo di mode e valori nuovi, ma anche di concetti educativi e morali. Le donne di artisti come Utagawa Toyoharu e Kitagawa Utamaro sono raffigurate impegnate in attività artistiche come la pittura, la calligrafia, il gioco da tavolo di strategia, la poesia e la musica, considerate discipline chiave per la formazione di una persona colta. Il tema della musica è approfondito nella sezione anche attraverso una selezione di strumenti musicali del tempo, che si possono ritrovare rappresentati nelle stampe, provenienti dalla collezione di Vincenzo Ragusa e Cristoforo Robecchi.
La mostra prosegue con un approfondimento sulle arti performative: da una parte la danza, ufficiale e popolare, dall’altra il teatro kabuki, nato proprio nel Seicento, le cui locandine contribuirono ai primi sviluppi dell’ukiyoe. La ritrattistica di attori divenne uno dei filoni più richiesti e fu attraverso le loro figure che si diffusero le mode e le tendenze del tempo: artisti come Tōshūsai Sharaku diventarono maestri in quest’ambito. Ma non mancarono anche le vedute dei quartieri del teatro e degli interni dei teatri con gli attori sul palco e il tutto esaurito di pubblico: in particolare Okumura Masanobu fu il primo a introdurre la prospettiva lineare in questo ambito, fino a quel momento assente nella pittura orientale, per restituire la tridimensionalità dello spazio in modo attraente e all’avanguardia per il tempo.
La sezione successiva è dedicata ai quartieri di piacere, sviluppatisi appena fuori città e in cui, una volta varcato il portone, non valevano più le regole shogunali, ma quelle della moda, della seduzione e dell’eleganza. Gli interni delle case da tè, lo struscio lungo la via centrale del quartiere di Yoshiwara a Edo, ma anche la quotidianità della vita di alcune donne dei sogni, erano i soggetti di grandi maestri come Utagawa Toyokuni, Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusa, Chōbunsai Eishi, Keisai Eisen, e tanti altri. L’immaginario è inoltre stato arricchito per il pubblico attraverso la presentazione di alcuni ventagli e accessori come i portatabacco (inrō) e lo specchio da toletta (provenienti dalle collezioni del Museo delle Civiltà di Roma) e di un prezioso soprakimono (uchikake) imbottito color indaco e ricamato in fili d’oro e colorati dalla collezione del Conte di Bardi.
L’intrattenimento, i giochi e i passatempi sono il focus della sezione successiva, in cui si coglie di nuovo il ritratto di una società scandita da attività stagionali all’aperto, passeggiate tra i fiori di ciliegio, sotto gli aceri, per raccogliere i cachi o le conchiglie, ma anche da festival e intrattenimenti serali; passatempi come gare o intrattenimenti con giocattoli e animali domestici. Lavori come quelli di Utagawa Toyohiro, di Utamaro, ma anche di Kuniyoshi, che dedicò intere serie di stampe al divertimento (giga), come ritratti in forma di graffiti, caricature e composizioni arcimboldesche, scene di giocoleria e acrobazia, esplorano in modo unico il godimento di un periodo di pace.
Particolarmente importante nell’ukiyoe è la rappresentazione di località celebri dentro la città e di vedute naturali e architettoniche di tutte le province del Giappone. Queste ultime due sezioni rappresentano un viaggio lungo il Giappone partendo da Edo e dai suoi scorci, per intraprendere, attraversando il Ponte di Nihonbashi (Ponte del Giappone), considerato il “chilometro zero”, un tragitto fino alla capitale imperiale di Kyoto. Guardando alla prospettiva adottata per realizzare scorci di strade, infilate di negozi, interni di ristoranti che dominano le opere di Eirin e Hiroshige, ad esempio, soprattutto nella prima metà dell’Ottocento, si può evincere l’influenza che le vedute europee, importate dalla prima metà del Settecento, ebbero sul filone artistico giapponese. Il percorso espositivo, dunque, lascia percepire quello che era il viaggio attraverso le montagne lungo il Kisokaidō e lungo il mare sul Tōkaidō, per chi si spostava dalle province a Edo, con scenari naturali e vedute del Fuji da diverse angolazioni, più o meno note, del territorio giapponese. È proprio a questa sezione che appartengono i capolavori come la Grande Onda di Kanagawa, parte delle Trentasei vedute del Monte Fuji di Katsushika Hokusai, e i tre trittici di Utagawa Hiroshige dedicati ai “Tre Bianchi”, quello della neve, quello della luna e quello dei fiori di ciliegio qui sostituito dalla schiuma delle onde, con le località di Kiso, Kanazawa e Naruto.
La forte influenza esercitata dall’arte giapponese e dall’ukiyoe sulla cultura occidentale di fine Ottocento e inizio Novecento è inoltre restituita in mostra attraverso il racconto dell’esperienza unica di due artisti italiani, lo scultore Vincenzo Ragusa e l’incisore Edoardo Chiossone, che furono invitati dal governo giapponese Meiji di fine Ottocento come formatori e specialisti nei primi istituti di grafica e arte.
Essi furono figure-chiave nello sviluppo delle prime professioni artistiche di stampo occidentale, insieme ad Antonio Fontanesi per la pittura e Giovanni Vincenzo Cappelletti per l’architettura. La conoscenza profonda del Giappone nei lunghi anni di permanenza permise loro di diventare anche collezionisti, formando due tra i più importanti nuclei di arte orientale in Italia, oggi conservati presso il Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova e al Museo delle Civiltà di Roma.
ULTERIORI INFORMAZIONI
Museo di Roma a Palazzo Braschi, Piazza San Pantaleo 10, Roma
Orari
Dal martedì alla domenica ore 10.00-19.00 (ultimo ingresso alle ore 18.00)
Sabato, domenica e giovedì 25 aprile ore 10.00-21.00 (ultimo ingresso alle ore 20.00)
Giorno di chiusura: lunedì.
Aperture speciali
Lunedì 1° aprile 2024 (Pasquetta) ore 10.00 – 21.00 (ultimo ingresso alle ore 20.00)
Biglietto “solo Mostra”:
- Intero € 15,00
- Ridotto € 13,00
Prevendita: € 1,00
Le prevendite sono disponibili a questo link.
Per maggiori informazioni: tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 -19.00)
www.museodiroma.it; www.museiincomune.it