Lo scorso 3 Novembre si è svolto alla Casa dell’Aviatore il congresso che ha visto protagonisti i risultati ottenuti nel biennio del BRIC2019-ID31 nel campo delle attività lavorative iperbariche. La scienza iperbarica si pone l’obiettivo di ridurre lo sforzo cardiaco nei soggetti sottoposti a uno stress ambientale caratterizzato da un alzamento di pressione. Dal congresso è emerso che le attività lavorative iperbariche si raggruppano in due tipologie: a secco o in umido, ad indicare che il lavoratore sia o meno immerso in acqua. L’elemento comune è la pressione dell’ambiente circostante che, in ogni caso, è maggiore di quella atmosferica. Questo aspetto ambientale che insiste sul lavoratore funge di per sè da stimolo (stressor) inducendo una alterazione funzionale che richiede aggiustamenti compensatori da parte dei meccanismi omeostatici corporei. II sistema respiratorio, in primis, ma anche quello cardiaco e i processi metabolici modificano il loro funzionamento e si attivano per trovare le più efficienti condizioni operative anche in questo “straordinario” ambiente. In queste condizioni, l’esecuzione di una attività lavorativa va ad aggiungere un ulteriore stimolo a tutti quei processi attivati dalle condizioni ambientali. In questo contesto l’INAIL, perseguendo la sua mission aziendale, ha emesso un Bando di Ricerca in Convenzione (BRIC2019) per individuare in maniera obiettiva possibili fattori di rischio e valutare gli effetti sinergici della sollecitazione iperbarica con quella delle attività lavorative. II bando di ricerca, dal titolo “Aspetti innovativi nella valutazione del rischio iperbarico in contesti lavorativi: valutazione multifattoriale dello stress ossidativo come stima dello stress decompressivo in atmosfere
Iperbariche” (Id31), sI è rilevato particolarmente sfidante per la carente letteratura scientifica sull’argomento. Ciononostante, gruppi di ricerca di università diverse con capofila SAPIENZA hanno intrapreso studi volti a valutare, dal diversi punti di vista, le interazioni tra Iperbarismo e attività lavorativa e determinarne le relative conseguenze sul corpo umano. I relatori hanno mostrato tramite presentazioni i vari iter ed esperimenti svolti in questo biennio, concordando che la scienza iperbarica risulta ancora acerba per poterne capire le reali capacità e problematiche. Erano presenti anche i volontari protagonisti degli esperimenti presentati, durante i quali i loro corpi sono stati sottoposti a forti stress lavorativi in immersione. Le lavorazioni sono state condotte in diverse località e condizioni espositive, proprio per cercare di capire l’influenza relativa dei diversi fattori dello stress decompressivo.
Le caratteristiche prese in considerazione nei soggetti analizzati sono state:
- Composizione corporea;
- Abitudini alimentari;
- Stress ossidativo;
- Stato infiammatorio;
- Presenza di allergie;
- Fitness fisica;
- Temperatura ambientale e dell’acqua;
- Esercizio fisico svolto in immersione.
I risultati, come ci si aspettava, sono stati sensibili alle condizioni ambientali di temperatura e attività fisica in immersione. II confronto tra le diverse risultanze consentirà di associare indicatori biochimici e fattori espositivi secondo un modello matematico che è tuttora in fase preliminare di progettazione.
“Si può considerare l’ipotesi che l’attività lavorativa in queste condizioni possa risultare usurante per il corpo nel tempo?”
Ai microfoni di RadioSapienza risponde il Dottor Pasquale Longobardi – direttore del Centro Iperbarico di Ravenna – “Non sappiamo rispondere ancora, dai lavori effettuati quello iperbarico è un sistema che è in grado di stabilizzare lo stress corporeo sotto un certo tipo di sforzo costante, ma non sappiamo ancora se possa peggiorare le condizioni corporee a lungo termine”.