In occasione dei sessant’anni dai Trattati di Roma, nell’ambito della Maratona Europea organizzata dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Sapienza, ieri si è svolta una tavola rotonda di dibattito e approfondimento con esperti del settore sulla difficile situazione attuale e le sfide che attendono l’Europa in ambito comunitario ed internazionale.
Le notizie degli sbarchi, le tragedie in mare dei viaggi della speranza, a cui forse drammaticamente ci si è assuefatti, sono soltanto un aspetto di un quadro politico e sociale di transizione che rimette in discussione e dunque in crisi le frontiere che si davano per tracciate e le identità che si consideravano consolidate. L’Europa nel 2004, proseguendo un lungo processo iniziato già dal crollo del Muro di Berlino, portava a compimento il più grande allargamento nella storia della Comunità europea, arrivando a coinvolgere nel sistema ben dieci nuovi stati dell’ex blocco sovietico. Quel traguardo aveva il sapore del successo e nel frattempo si portava avanti con altre nazioni una politica europeizzante di pre-adesione. All’indomani della Brexit si assiste invece ad una delicata situazione di transizione, nella quale si fronteggiano forze globalizzanti e opposte tendenze nazionaliste per un futuro che resta di difficile definizione.
Come affermato da Filippo Celata, ricercatore e docente presso il Dipartimento di Economia della Sapienza, a differenza di una prima fase nella quale le forze europee (in senso territoriale) guardavano al progetto di una comunità sovranazionale con ottimismo e slancio, consapevoli di costituire un valido modello istituzionale, adesso ci si trova di fronte ad una organizzazione il cui debole collante della moneta unica sembra esser vano di fronte alle forze centrifughe neonazionaliste.
Il sistema di common value alla base del condiviso obiettivo di pace, stabilità e sicurezza si è dovuto scontrare dunque con fenomeni socio-economici di fronte ai quali il suo soft normative power non ha rappresentato uno strumento politico adatto. Un carente progetto di reale integrazione sociale e culturale, secondo Maria Marchetti, docente di Sociologia dei fenomeni politici, è forse uno dei motivi principali del venir meno nel tempo della fiducia in un progetto comune di inclusione e cooperazione. L’emergenza immigrazione ha rivelato, in tutta la sua drammaticità, l’inefficienza e l’impreparazione delle istituzioni comunitarie nel fronteggiare la situazione, alimentando di fatto dissidi intra-nazionali e tra gli Stati e scatenando l’esasperazione dell’opinione pubblica. L’Occidente, centro delle speranze dei profughi, si rivela territorio difficile da attraversare tra nuovi muri e filo spinato. Le rotte del Mediterraneo poi, percorse da gommoni carichi di umanità sofferente, sono sempre più oggetto della politicizzazione, in una prospettiva di fatto cieca alla reale complessità del fenomeno.
Difficile dare una risposta univoca sul futuro della Comunità europea: è un’istituzione divisa al suo interno, in bilico tra le frontiere nazionali e la scelta forte di ritrovare la vera identità dell’Europa, di riscoprire i valori che l’hanno fondata.
Intervista Filippo Celata