Debutta al Festival del Cinema di Roma, il 17 ottobre, Life is (not) a game, il primo documentario del regista Antonio Valerio Spera.
Protagonista assoluto è Laika, la street artist anonima che veste abiti da “attacchina” e porta una parrucca fucsia e una maschera bianca. Nonostante il suo anonimato, in questi anni l’artista ha fatto parlare molto di sé grazie alle sue opere simbolo di protesta e di rivendicazione appese in varie parti di Roma.
Come traspare anche dal documentario, Laika è una persona che vuole lasciare un messaggio forte attraverso la sua arte. Seguendo la cronaca nazionale e internazionale è riuscita a rompere il muro del silenzio attraverso le sue immagini. Dall’abbraccio tra Giulio Regeni e Patrick Zacky appeso nei pressi dell’ambasciata egiziana con una vignetta “stavolta andrà tutto bene“, fino al disegno #Jenesuispasunvirus, che raffigurava la nota ristoratrice cinese della Capitale, affisso al quartiere Esquilino per denunciare le discriminazioni nei confronti di uomini e donne dai tratti somatici orientali che venivano additate come la causa della pandemia.
Cambiando scenografia, nella seconda parte del documentario dalle strade familiari della Capitale e di città italiane come Bologna, lo spettatore viene catapultato un contesto estraneo al suo quotidiano. Laika, infatti, decide di partire per la Bosnia per percorrere i luoghi simbolo della rotta dei Balcani, dove i migranti vivono condizioni inumane. Come in un reportage giornalistico, in questa ultima parte del film viene dato spazio alla polifonia di voci dei migranti che cercano di arrivare in Europa. Ancora una volta l’artista riesce a cogliere con sensibilità ed empatia il dolore e la sofferenza, riuscendo a rappresentare con estremo rispetto il vissuto di quegli uomini. Denunciato le violenze e le sevizie della polizia croata, come una paladina dei diritti e della giustizia riesce a lasciare senza fiato chi ammira le sue opere.
All’omonimo titolo di uno dei suoi poster in quest’ultimo viaggio lungo la rotta balcanica è ispirato anche quello del film. Il poster dal titolo Life is Not a Game, ha l’obiettivo di denunciare la violenza esercitata dalla polizia sui migranti che provano il cosiddetto “Game”, ossia il tentativo di attraversa i confini della Croazia.
La scelta dell’uso della parentesi nella negazione ha l’obiettivo di evocare, secondo il regista, la doppia anima di Laika che pendola tra ironia e impegno sociale.
La caratteristica più importante di Laika, che il regista Spera con il suo lavoro riesce a far emergere perfettamente, è senza dubbio la sua capacità di innescare emozioni attraverso le sue opere apparentemente semplici, ma cariche di significato e simbolismo.
Intervista al regista Antonio Valerio Spera