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Lingua e strategie di contrasto alla violenza di genere

Lingua e strategie di contrasto alla violenza di genere
Lunedì 8 aprile si è svolto, presso l'Aula I del Dipartimento di Filosofia di Villa Mirafiori, il seminario "La lingua e le strategie di contrasto alla violenza di genere", prima parte del percorso transdisciplinare "Scienze della mente, comunicazione e violenza di genere" a cura di Nunzio Allocca. A presentare l'incontro Fabrizia Giuliani, professoressa di filosofia del linguaggio, studi di genere e linguistica generale e Presidente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio sulla violenza contro le donne che ha sempre concentrato il proprio impegno politico, saggistico e istituzionale nella difesa e l'ampliamento dei diritti civili seguendo con particolare attenzione i temi relativi della democrazia paritaria e l'uguaglianza di genere.

Lunedì 8 aprile si è svolto, presso l’Aula I del Dipartimento di Filosofia di Villa Mirafiori, il seminario “La lingua e le strategie di contrasto alla violenza di genere“, prima parte del percorso transdisciplinare “Scienze della mente, comunicazione e violenza di genere” a cura di Nunzio Allocca. A presentare l’incontro Fabrizia Giuliani, professoressa di filosofia del linguaggio, studi di genere e linguistica generale e Presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla violenza contro le donne che ha sempre concentrato il proprio impegno politico, saggistico e istituzionale nella difesa e l’ampliamento dei diritti civili seguendo con particolare attenzione i temi relativi della democrazia paritaria e l’uguaglianza di genere.

Il cammino che hanno fatto le donne nel XX secolo come “rivoluzione pacifica“: è questo il punto di partenza, ripreso dallo storico Eric Hobsbawn, da cui trae spunto l’incontro, che si pone l’obiettivo di esaminare il rapporto tra la forma, la teoria, il linguaggio del fenomeno della violenza di genere e il fenomeno in sé, l’atto pratico. Il ‘900 è il secolo in cui le donne escono dal confine domestico e iniziano il proprio cammino verso la libertà, i diritti e la sfera pubblica; in una prospettiva comparativa, Hobsbawn vede nella rivoluzione delle donne l’unica rivoluzione “non fallita” di questo periodo storico. Una rivoluzione che non ha mai conosciuto spargimenti di sangue, rovesciamenti di regime o assalti ai luoghi di potere, ma che ha provocato una trasformazione totale profonda e incalcolabile che negli studi storici, secondo la prof.ssa Giuliani, nessuno ha mai messo a fuoco fino in fondo. Un cambio di paradigma non solo rispetto all’antichità, ma anche all’epoca contemporanea.

I dati Istat ci raccontano, tuttavia, la drammaticità che ancora oggi riguarda il fenomeno: solo il 35% delle donne che hanno subito una violenza fisica o sessuale pensa di essere stata vittima di un reato, mentre il 44% lo identifica come qualcosa di sbagliato ma non penalmente rilevante, il 20% come “qualcosa che capita”. In questa galassia, quelle che scelgono di denunciare sono solo l’11.8%: ciò significa che oltre l’85% delle violenze rimane sepolto nel silenzio della vittima, che sceglie di tacere e non accedere alla giustizia, lasciando la violenza non registrata e, quindi, apparentemente inesistente.

Questa difficoltà nello sporgere denuncia è inevitabilmente connessa con il problema culturale, purtroppo ancora troppo diffuso, di colpevolizzazione della vittima, in forza del quale si arriva spesso a responsabilizzare la donna della violenza subita. Questo fenomeno è a sua volta figlio della storia, che per molto tempo non ha neanche identificato quest’azione con una parola ad hoc che potesse rendere il gesto riconoscibile tramite le categorie di linguaggio e pensiero e, quindi, renderlo perseguibile e sbagliato: se non esiste una parola per descrivere un atto concreto non c’è modo di percepirlo in quanto tale e, quindi, sanzionarlo. Secondo la prof.ssa Giuliani è proprio su questo piano che bisogna agire, e le parole hanno un ruolo imprescindibile in questo processo: la lingua non trasmette i fatti, ma i significati che vengono attribuiti ad essi; non esiste un mondo già dato che viene man mano etichettato dalla lingua, ma è la lingua stessa che dà una visione del mondo tramite l’attribuzione di determinati significati.

Abbiamo relativamente da poco una parola che è in grado di raccontare questa realtà, e quello che non si dice non esiste. Una lingua potrà sempre trovare degli escamotage dialettici per arrivare a esprimere concetti che non trovano espressione in un singolo lemma, ma finché non esisterà un termine ad hoc non si potrà parlare del fenomeno: se non c’è una parola non c’è un racconto, non c’è una narrazione, non c’è un modo per salvare i fatti. Se non si parlasse di femminicidio non si raccoglierebbero i dati riguardo questo fenomeno e verrebbe tutto ubicato sotto la più generica voce di “omicidio”, se non addirittura di “violenza” o “criminalità”, termini che non aiutano ad identificare socialmente il problema specifico e a trovare quindi le modalità per contrastarlo.

A chiusura dell’intervento Giuliani auspica un’assunzione di responsabilità da parte di tutti e una riflessione sulla libertà della donna e sull’accettabilità sociale di determinati comportamenti, iniziando a chiamare le cose con il proprio nome.

Di seguito la mia intervista a Fabrizia Giuliani.

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