La promessa de La Prima Estate viene mantenuta e alla sua seconda edizione dona all’Italia un po’ d’atmosfera dei festival d’oltralpe. Anche quest’anno, infatti, ha portato al pubblico italiano artisti internazionali e locali sotto il sole caldo di Lido di Camaiore, in Toscana, a pochi passi dal mare della Versilia. Generi diversi che hanno accompagnato le giornate dell’evento, suddiviso in due weekend con tre giorni d’intrattenimento. Il 17 giugno, il Parco Bussoladomani ha ospitato musiche eteree e movimentate, melodie più calde e melodie più fredde.
Ginevra Battaglia, in arte Guinevere, ha aperto la seconda giornata del festival mostrando le diverse radici artistiche che accompagnano la sua produzione musicale. Brani che raccontano di amore e di vita, con la voce soave di chi, come afferma prima di presentare un brano inedito, si percepisce totalmente immersa nel momento e nel circostante.
Se l’artista ha fatto palpitare i cuori del pubblico, il ritmo di Japanese Breakfast ne ha conquistato i passi: la coinvolgente presenza scenica di Michelle Zauner, lead vocalist della band, ha fatto da contorno alle sonorità americane ibridate con quelle coreane, come le origini della cantante. Ad accompagnare la performance, il rintocco del gong nel brano d’apertura Paprika.
A seguire, i Kings Of Convenience hanno raccolto il calore e le risate del pubblico tra l’esibizione di un brano e l’altro. Lo stile innovativo e fortemente personale, costruito su arpeggi di chitarra precisi e puliti e dalle voci limpide del duo, ha scaldato l’atmosfera mentre il sole stava tramontando. Movimentato dai balletti caratteristici del duo norvegese, il palco è stato lo spazio per raccontare una musica che sa essere narrazione, anche talvolta improvvisata, che sa mantenere la propria integrità e purezza, nel rispetto di ogni emozione, dalla gioia al dolore.
La serata, infine, ha accolto le stratificazioni vocali di Justin Vernon che, con i Bon Iver, ha continuato ad accompagnare la malinconia del pubblico elevandola a catarsi dell’anima. Le sonorità mai banali e in continua sperimentazione a ogni data del tour sanno rinnovarsi e presentare i diversi generi che l’artista ha saputo re-interpretare durante la sua carriera in maniera magistrale. Le basi del folk personale e intimo che rintocca tra i muri di legno della casa in Wisconsin e il silenzio della neve che fa eco delle emozioni viene portato in scena dalla classica ma imperitura Skinny Love, donata nella sua versione più tradizionale fatta di chitarra e voce. E il tempo si ferma nuovamente durante l’esibizione in solo di 715 – CREEKS, con Vernon in silhouette che lascia il suono come unica visione.
Le melodie oniriche si trasformano durante l’ora e mezza in cui il gruppo si incentra perlopiù sulle produzioni recenti, con il sempre presente falsetto a volte ma alterato dal vocoder. Infatti, gli elementi elettronici dell’album i,i dominano lo stage e danno continuità al tour interrotto nel 2020, ma tra i brani come U (Man Like) e iMi si inseriscono anche singoli come Heavenly Father o tratti da EP come Blood Bank.
Il viaggio tra i quattro album e i diversi generi è fatto di intrecci e ricordi, in cui le melodie più disparate vengono scomposte e ricomposte con maestria da Vernon che, insieme agli altri abili musicisti, dà forma a un’espressione musicale complessa e completa. Il pubblico è sospeso tra spiritualità e commozione che fa male ma che diventa anche salvifica, come ogni produzione fin dagli albori del progetto Bon Iver. Al di là di ogni trasformazione e crescita, infatti, questo è ciò che rimane fissato nel tempo: la fedeltà alle stesse emozioni di sempre, in grado di accompagnare e di riadattarsi, e di creare sempre compagnia nell’eco della propria solitudine.