Foto di Michela Angelini
Strage di capaci
23 maggio 1992 ore 17.57, 500 kg di tritolo vengono fatti esplodere sull’autostrada A29 nei pressi di Capaci, il bersaglio dell’attentato è il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Cosa Nostra quel giorno non ucciderà soltanto il giudice, a rimanere vittime dell’esplosione sono anche la moglie, il magistrato Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Cinque morti e 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Giovanni Falcone: la storia di un magistrato che diede la vita per la lotta contro la Mafia
Giovanni Falcone dopo aver scelto la strada della magistratura nel 1965 ottiene l’incarico come pretore a Lentini e poi nel 1967 viene trasferito a Trapani dove comincia a maturare la sua cultura giuridica e politica. A Trapani comincia ad avere il primo approccio con la Mafia, e in quel contesto conosce anche il capomafia Mariano Licari. Dopo però il processo a Licari e il suo mancato attentato alla vita presso l’Isola di Favignana, da parte di un terrorista, chiede di essere trasferito nel 1978 a Palermo.
A Palermo in quel tempo si respira un’aria davvero carica di tensione, stragi sanguinarie si susseguivano una dopo l’altra: i mirini erano puntati su giudici, magistrati. Il prima a rimanere vittima dei colpi dei clan mafiosi è Cesare Terranova. Falcone a Palermo comincia a investigare su Rosario Spatola e da lì vede aprirsi tra le sue mani un’inchiesta che coinvolge «i piani alti della mafia economica e finanziaria».
Cosa Nostra comincia a prendere forma nella mente del giudice, l’organizzazione criminale sembra essere coinvolta in uno dei commerci di spaccio di droga più grandi al mondo e a ripulire il loro denaro sporco vi sono le banche. Falcone si immerge a capofitto in quell’inchiesta e comincia ad indagare anche sui patrimoni legati alle figure che sembravano legate all’Organizzazione. Indubbiamente, è un’inchiesta che fa esporre molto la figura del magistrato tanto da aver assegnato nel 1980 una scorta. Mentre il processo a Spatola si conclude con la prima sconfitta di Cosa Nostra, Palermo sembra un campo di guerra, uno ad uno figure simbolo dello stato vengono assassinate: magistrati, carabinieri, giudici, perfino figure del governo come il presidente della Regione Pier Santi Mattarella il 6 gennaio del 1980 e il segretario del Partito Comunista Italiano Pio La Torre il 30 aprile 1982. Pochi mesi dopo, nel settembre 1982 arriva il colpo finale per Palermo con l’uccisione a colpi di kalashnikov del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, mandato appositamente in Sicilia per riuscire a contrastare la Mafia e le sue azioni deplorevoli.
Nel frattempo la Magistratura cerca di trovare una risposta e un’arma abbastanza potente per poter contrastare le stragi di quell’Organizzazione che tanto agiva nell’ombra tanto faceva parlare di sé. Nel 1983, un’autobomba fa saltare in aria Rocco Chinnici, ideatore del progetto “pool antimafia” perde la vita prima di avviare la sua ideazione. Prende il suo posto Antonino Caponnetto, magistrato siciliano che vede in Giovanni Falcone un uomo di valore nel quale porre fiducia nella lotta contro la Mafia, a collaborare al suo fianco inoltre ci saranno Giuseppe Di Lello, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta.
In quegli anni viene catturato Tommaso Buscetta, conosciuto come il “boss dei due mondi”, un colpo importante da parte della magistratura. Infatti, dopo la cattura Buscetta – appartenente alla “vecchia Mafia” di Palermo – stanco dei soprusi e delle barbarie dei Corleonesi decide di diventare collaboratore di giustizia riponendo la sua fiducia esclusivamente verso Giovanni Falcone.
La Mafia finalmente ha un volto, negli interrogatori di Falcone, Buscetta spiega nei dettagli la struttura verticistica di Cosa Nostra: ruoli, schemi, famiglie, strutture interne e reclutamenti. Quelle rivelazioni saranno fondamentali per la deposita in ordinanza di rinvio a giudizio, nel 1985, contro 475 imputati.
Il 10 febbraio 1986 inizia quello che verrà chiamato e identificato in tutto il mondo come maxiprocesso, conosciuto come il più grande processo fatto ad un’organizzazione criminale. Appositamente a Palermo viene allestita un’aula chiamata bunker poiché rivestita di cemento armato e resistente a qualsiasi attacco. Si ritrovano riuniti per la prima volta tutti i volti dei famigerati boss di Cosa Nostra, anche se all’appello manca qualcuno: Totò Riina e Bernardo Provenzano sono già latitanti.
Gli impuntati sono accusati di estorsione, associazione a delinquere di stampo mafioso, vari omicidi e traffico di stupefacenti. Il processo di primo grado dura fino al 16 dicembre 1987, giorno in cui vengono inflitti 19 ergastoli e pene detentive e 2665 anni di reclusione.
Buscetta avrà un ruolo cruciale nello sfaldamento di Cosa Nostra che però, nonostante il duro colpo, rimane vigile e forte. Nel frattempo, Caponnetto va in pensione e il posto che di diritto spetterebbe a Giovanni Falcone come consigliere istruttore viene dato ad Antonino Meli. Questo sarà determinante nella lotta contro la mafia, Antonino Meli diffidante del metodo di Falcone, comincia a scardinare il maxiprocesso, smantella il pool antimafia portando avanti la convinzione dell’inesistenza di Cosa Nostra in quanto organizzazione a delinquere di stampo mafioso verticistica, ma risorge la vecchia tesi di bande criminali. I processi vengono divisi in vari uffici e la lotta contro Cosa Nostra viene messa a repentaglio. Da lì in poi inizia una stagione dura per Falcone, in cui non solo lo Stato, ma anche i suoi colleghi e la società gli voltano le spalle.
“Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”
Queste erano le parole di Giovanni Falcone, che con il suo lavoro nel pool antimafia, cercò di sconfiggere l’omertà che troppo a lungo aveva protetto e fatto chiudere gli occhi su Cosa Nostra, permettendo che auspicasse ad un potere sempre più forte e controllato, fino ad arrivare a coinvolgere figure istituzionali e pubbliche.
La lotta di Falcone è stata dura e controversa, l’opinione pubblica e le Istituzioni negano ancora l’esistenza di un’organizzazione che riuscisse a muoversi nell’ombra e ad avere un così vasto potere. Inizialmente, molte sono state le figure, soprattutto della politica, che andarono contro Falcone, tanto da appellare quel periodo come Stagione dei Veleni.
Nel 1989 Falcone riesce a sopravvivere all’attentato di 58kg di tritolo nella sua villa all’Addaura, nel quale viene accusato di essere lui stesso l’artefice per aumentare la sua notorietà.
«Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è la tua che non l’hai fatta esplodere.» – Giovanni Falcone
A causa di quel clima di ostilità e i suoi rapporti angusti con il procuratore Piero Giammanco, decide di lasciare Palermo e accetta l’incarico di Direttore degli Affari Penali al Ministero – prendendo servizio nel novembre del 1991 – propostogli da Claudio Martinelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia.
Quel buon rapporto con Martinelli però fomenterà ancora di più le ingiurie sul suo conto, tanto che tra quelli che per prima aveva screditato Falcone con pesanti accuse, LeoLuca Orlando, nel 15 ottobre 1991 fa un esposto con il quale Falcone fu chiamato davanti al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) per rispondere a varie accuse.
L’operato di Falcone però non si ferma, infatti, tra il 1991 e il 1992, dà un’ulteriore svolta al suo lavoro di magistrato con la creazione di provvedimenti normativi atti a contrastare e reprimere le organizzazioni mafiose in Italia: il decreto legge del 29 ottobre 1991 n.345 istitutore della prima Direzione Investigativa Antimafia (DIA), entrato in vigore come la legge 30 dicembre 1991, n. 410; il decreto legge 20 novembre 1991, n. 367 – sancito come legge il 20 gennaio 1992, n. 8 – che modificava il codice di procedura penale italiano e, infine, il decreto legge 8 giugno 1992, n. 306 – diventato legge 7 agosto 1992, n.356 – che contemplava varie misure aggiuntive nel procedimento penale per il contrasto al crimine mafioso, al riciclaggio di denaro, alla giustizia minorile e alcune disposizioni circa la tutela dei fenomeno dei collaboratori di giustizia.
Il 30 gennaio 1992 arriva la sentenza finale della Corte di Cassazione, nonostante continui dirottamenti viene riconosciuta la veridicità del “teorema di Buscetta” e vengono ripristinati le condanne e gli ergastoli annullati in appello.
Un ultimo successo e traguardo, prima che Giovanni Falcone diviene consapevole della sua imminente condanna a morte per mano di Cosa Nostra nel 23 maggio del 1992.
Perché la sensibilizzazione verso la legalità è importante?
Dopo la morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, la lotta contro la Mafia è diventata una prerogativa per lo Stato e per l’opinione pubblica. Molteplici sono le associazioni che con questo intento da anni attuano campagne di sensibilizzazione verso la legalità. Quest’ultima è una sfida costante e con gli anni è sempre più nata la consapevolezza che il seme della giustizia e della legalità dovesse essere messo partendo dall’ambito scolastico. Tra le innumerevoli associazioni che tutt’oggi sono attive nel perseguire questo obiettivo vi è la Fondazione Giovanni Falcone che da anni coinvolge cerca di coinvolgere migliaia di studenti con incontri, seminari, laboratori volti a garantire «una formazione permanente da nord a sud dell’Italia nella consapevolezza che la conoscenza del fenomeno mafioso sia la base della coscienza civile delle giovani generazioni».
Anche l’Università La Sapienza dà il suo contributo a questa lotta, volgendo un ruolo primario nella sensibilizzazione verso la legalità. In ricorrenza del 29esimo anniversario della strage di capi e di via d’Amelio, l’Università ha aderito alla campagna di sensibilizzazione lancia dalla Fondazione Falcone nella quale si invitava a stendere un lenzuolo bianco fuori dalle finestre per commemorare le vittime della mafia.
Inoltre, oggi 24 maggio 2021, La Sapienza insieme alle associazioni studentesche ha celebrato la Giornata per la legalità con l’inaugurazione del percosso “100 passi verso la legalità”, nel quale con l’istallazione di undici pietre d’inciampo – incise ognuna da targhe rappresentanti uomini e donne vittime della mafia – lungo il viale principale della Città Universitaria, si vuole sottolineare l’importanza del ricordo e della memoria delle vittime e di quanto sia importante che esso cominci in ambito scolastico.