Lunedì 6 marzo alle ore 17 è stato presentato, presso le ex Vetrerie Sciarra, il primo di una serie di incontri del ciclo di seminari “Mafie e rotte. Le organizzazioni mafiose italiane tra vecchie e nuove rotte criminali” condotto da Francesco Forgione, già presidente della Commissione parlamentare antimafia, e curato da Luca Ruzza del Dipartimento di Storia dell’arte e dello spettacolo. Dopo l’esperienza nel 2016 del workshop “Le mafie negate, le mafie svelate”, l’Università La Sapienza propone un nuovo laboratorio riguardo la presenza della criminalità organizzata nel nostro Paese e a come essa si sia evoluta e modificata nel tempo.
“In quel rotte c’è un auspicio: quello di rompere il potere, la pervasività e la forza delle mafie” così il presidente Francesco Forgione ha introdotto il suo intervento, spiegando il significato del titolo del workshop. Ma purtroppo le “rotte” sono anche le trasformazioni intervenute nelle azioni criminali nel tempo e quindi nella dimensione locale e globale. “Non esiste una mafia globale senza una dimensione locale” spiega Forgione. Il workshop ha l’obiettivo di analizzare come sono cambiati negli anni gli interessi delle mafie, le rotte degli affari e dei traffici criminali in uno scenario condizionato dalla presenza del terrorismo fondamentalista e del commercio di droghe. Bisogna riflettere però anche sul potere sociale, sul traffico dei migranti e di conseguenza analizzare il termine “rotte” anche come tutte le fughe di quelle persone che partono da lontano per cercare un futuro e che creano, invece, solo l’ennesimo giro di “soldi sporchi”. Abbiamo bisogno di comprendere cosa sta accadendo perché forse gli stereotipi del passato per descrivere le organizzazioni mafiose non bastano più al giorno d’oggi, dato che le mafie hanno un dinamismo che spesso nemmeno le istituzioni, la politica e la società riescono a cavalcare. La mafia è un’organizzazione che vive nella storia e con essa si modifica, è un fenomeno che cambia con la stessa velocità con la quale cambia l’assetto del mercato e il sistema delle comunicazioni. Ciò che vale oggi può non valere più domani. Ma d’altronde già il magistrato Giovanni Falcone, ai tempi, aveva puntato i fari sulla veloce capacità delle mafie di modellarsi e adattarsi nel tempo alle dinamiche economiche e sociali: “La mafia è l’organizzazione più agile, duttile e pragmatica che si possa immaginare rispetto alle istituzioni e alla società nel suo insieme”.
Dopo l’introduzione del presidente della Commissione parlamentare antimafia, i saluti e i ringraziamenti del rettore Eugenio Gaudio e della direttrice del Dipartimento di Storia dell’arte e spettacolo Marina Righetti, i microfoni sono passati ai due ospiti più attesi: Andrea Orlando, ministro della Giustizia e Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma.
Per primo il ministro Orlando, in funzione di docente, ha focalizzato il suo intervento sulla lotta alla mafia che non può essere combattuta solo dalle forze dell’ordine o alla magistratura ma va contrastata anche nel quotidiano, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle istituzioni. Successivamente ha spostato l’attenzione sul giro di affari legato al traffico di migranti: “Siamo in una situazione in cui occuparsi dei migranti sono prima di tutto le grandi organizzazioni criminali, che arrivano prima delle agenzie intergovernative e offrono una via di fuga dalla guerra, dalla povertà attraverso una semplice condizione: il denaro. I cittadini siriani che hanno cercato rifugio in Europa, attraversando il Libano e la Turchia, hanno pagato (ognuno) una somma tra i 4.000 e 6.000 euro e in Italia, solo nel 2014, sono giunti circa 50.000 siriani”. L’accoglienza è business dato che con i migranti si guadagna più che con la droga; si lucra sui viaggi, si reclutano spacciatori, prostitute e lavoro nero. La soluzione per il ministro Orlando sarebbe quella di creare una giurisdizione sovranazionale dato che molte delle rotte passano “sopra la testa degli Stati nazionali”.
Ultimo interlocutore, ma non per importanza, è stato il procuratore Pignatone che, dopo aver puntualizzato sul significato di “organizzazioni mafiose” attraverso un excursus storico sulla criminalità organizzata, ha concluso dicendo che “la mafia del secolo scorso è stata sconfitta dallo stato italiano”. La cattura del boss Provenzano avvenuta l’11 aprile del 2006 ha decretato la fine di una guerra dichiarata dalle organizzazioni mafiose allo stato alla fine degli anni ’70 che pensavano di poter sfidare e vincere il paese.
Ma come mai le mafie sono più dinamiche delle istituzioni? Come riescono a cavalcare l’onda e spesso anche ad anticiparla?
A queste domande, purtroppo, ad oggi non abbiamo ancora nessuna risposta.
Doriana Castellitto