Senza dubbio uno degli intellettuali e uomini di cultura più importanti della storia italiana. Mario Verdone – Il critico viaggiatore, questo il titolo del documentario presentato 19ª Festa del Cinema di Roma, con la regia di Luca Verdone ed il prezioso contributo dei fratelli Carlo e Silvia e di Christian De Sica. Prodotto da Iterfilm, Luce Cinecittà e Rai Cinema, il documentario è un ritratto dolce e toccante che ha il merito di far conoscere al pubblico la grande poliedricità e il valore del critico e storico (e tanto altro) Mario Verdone.
Il documentario prende spunto dall’incontro dei fratelli Verdone nella casa di campagna a Cantalupo in Sabina, lì, intorno ad un tavolo, fioriscono ricordi e memorie del padre, partendo dalle sue origini senesi (“Siena è Mario Verdone” – si dice nel cine-ritratto), fino all’approdo nella capitale, dove diventerà una delle figure di spicco del Centro sperimentale di cinematografia. Mario Verdone è stato tante cose, come si vede nel documentario la sua era una predisposizione naturale nei confronti di quella che chiamava “Arte Totale”, la capacità e l’amore di considerare l’arte un grande creatura universale. Storico, critico, insegnante, saggista, poeta, in poche parole, un’amante della vita che sapeva cogliere nelle sfumature i suoi significati più profondi.
Con un sguardo sempre orientato al futuro, Verdone andava oltre, seguiva le avanguardie, il Futurismo, in particolare, sosteneva l’importanza attribuita alla sperimentazione, lodava e apprezzava gli artisti che sapevano osare, e li premiava per questo. Cresciuto a Siena (selvaiolo della contrada della Selva), la sua prima palestra artistica, dove fin da piccolo avvicinava i turisti per raccontargli le opere e le architetture della sua città, ebbe modo di scrivere la sua tesi con Norberto Bobbio. Sempre a Siena, risalgono le sue prime opere liriche, l’operetta goliardica “Il trionfo dell’odore” del 1945 e, poi, l’arrivo a Roma. Qui, inizierà a collaborare con “Il Quotidiano”, giornale dal forte stampo cattolico che criticò duramente il suo appoggio alla Dolce Vita di Fellini, costandogli anche il posto.
“Se in Italia si studia storia e critica del film lo dobbiamo a lui” dice Carlo Verdone, che nel ricordo del padre si lascia andare ai ricordi che lo legano profondamente, come i biglietti regalati da Mario per andare a vedere i Beatles a Roma, oppure il Lido di Venezia durante la Biennale, in cui i fratelli, poco più che bambini, si affacciano dalla finestra del loro albergo per vedere le star dell’epoca approdare al festival. Così come il ricordo “quotidiano” della figlia Silvia, che anche se più giovane dei due fratelli, ha sempre considerato il padre un uomo generoso e di grande ironia.
Ed è proprio l’ironia, la cifra distintiva che ha accompagnato per tutta la vita Mario Verdone, con quello sguardo furbesco che si nascondeva dietro gli occhialoni tondi neri, il forte accento toscano, la risata spiritosa che chiudeva quasi sempre le sue risposte, questo e tanto altro racconta lo spirito burlesco e tagliente di Verdone.
“Era un distruttore di solennità, amava andare contro la retorica, era creativo, anche alogico se vogliamo”, racconta Luca Verdone, “andava sempre al di là della logica, dei formalismi, a partire dal futurismo che ha avuto il merito di riscoprire e di riportare in auge. Sono tanti i ricordi e gli aspetti di Mario Verdone che emergono dal documentario, che dura poco più di un’ora, e dove si affollano i rapporti più intensi della sua vita, dall’amicizia con Fellini, Vittorio De Sica, Marinetti, l’incontro con Fidel Castro. I grandi viaggi che lo portavano ovunque, un uomo che amava scoprire il mondo, un eterno peregrinare per conoscere culture diverse, cercando sempre il museo o l’aspetto più particolare del luogo.
La mano di Luca Verdone nel racconto del padre è intima e delicata, senza fronzoli o inutili esagerazioni riesce a fare un ritratto del padre sincero e stimolante, un grande uomo di cultura che ha dato tanto a questo paese e che merita di essere studiato e apprezzato per la sua immane carriera.
Prima di chiudere, lasciamo qui un verso senile di Mario Verdone, scritto forse al tramonto della vita:
“Siamo tanti fili verdi,
piccoli segni di un gioco:
il giocatore però non si vede”.