Nickel Boys di RaMell Ross è stato presentato come film di apertura alla XXII edizione di Alice nella Città.
C’è un riformatorio che si staglia all’orizzonte della Florida del 1962, la Nickel Academy. Per i ragazzi bianchi, la Nickel è un luogo di educazione e recupero, dove possono studiare, giocare, riabilitarsi e reintegrarsi nella società. Per i ragazzi afroamericani, invece, questo istituto si trasforma in un incubo, questo concetto di riabilitazione non esiste per niente. Nickel Boys di RaMell Ross ci porta dritti al cuore di questa macchina infernale, una trappola per i giovani neri, costretti a lavorare, studiare nozioni di base e subire ogni tipo di abuso. Una realtà di segregazione feroce mascherata da luogo di recupero.
Basato sull’acclamato romanzo di Colson Whitehead, vincitore del Premio Pulitzer, Nickel Boys racconta la storia di Elwood Curtis, un giovane afroamericano pieno di sogni e speranze. Cresciuto seguendo i principi pacifici di Martin Luther King, Elwood è un ragazzo brillante, accettato in un programma universitario che sembra poterlo portare verso un futuro migliore. Ma il suo sogno si infrange bruscamente quando, ingiustamente accusato di complicità in un furto d’auto, viene spedito alla Nickel Academy, dove il suo colore di pelle segna già il suo destino.
Uno degli elementi centrali del film è il gioco di soggettività, il point of view, che ci permette di vivere la storia alternativamente attraverso gli occhi di Elwood e Turner, il ragazzo di strada che diventerà suo amico. Questa scelta stilistica permette di entrare a fondo nei loro mondi interiori, esplorando le diverse percezioni che ognuno ha della realtà crudele che li circonda. Per Elwood, il mondo è ancora pieno di speranza e giustizia, un ideale che si scontra con la brutalità del riformatorio. Per Turner, invece, la vita è già una battaglia persa, un gioco di sopravvivenza cinico e spietato.
In questo alternarsi di punti di vista, il regista RaMell Ross inserisce sapientemente frame di eventi storici reali, che scorrono in televisione, frammenti di un mondo in cambiamento che sembra però non toccare mai davvero la vita di questi ragazzi rinchiusi nell’Academy. Dai comizi di Martin Luther King, che profetizza una società più giusta e uguale, ai tentativi della NASA di conquistare lo spazio con il programma Apollo, questi momenti storici creano un contrasto stridente con la realtà oppressiva della Nickel Academy. Mentre fuori si parla di progresso e di sogni, dentro le mura della Nickel, il tempo sembra essersi fermato. La segregazione e l’ingiustizia continuano a vivere nel silenzio, come un’ombra che oscura ogni possibile futuro.
La violenza alla Nickel Academy è sempre presente, ma Ross decide di lasciarla in secondo piano. Non vediamo mai direttamente le frustate, le torture o i corpi abbandonati ai coccodrilli; tutto è suggerito. Invece di mostrarci l’orrore in modo esplicito, il regista ci offre simboli visivi potenti: immagini in bianco e nero macchiate di rosso, un cucciolo di coccodrillo che appare nei momenti più inquietanti, o le pale con cui i ragazzi lavorano, il cui vero significato viene rivelato solo alla fine. Nickel Boys lavora quindi per disarticolare la narrazione, abbandonandosi a frammenti di vita e momenti di riflessione che ricostruiscono la durezza della realtà.
Questa combinazione di soggettività, frammentazione narrativa e l’inserimento di eventi storici crea una tensione emotiva che si accumula gradualmente, facendoci sentire il peso della segregazione e del razzismo non solo come una denuncia sociale, ma come un’esperienza intima e personale. Il risultato è un film che non si limita a raccontare una storia, ma che ci fa vivere sulla pelle la brutalità di un’epoca.
Fortunatamente, in questo mondo oscuro, Elwood e Turner s’incontrano. Turner vede in Elwood un ragazzo troppo idealista e fiducioso in un sistema che lo distruggerà, sentendo così il bisogno di proteggerlo. Il legame che nasce tra i due, così diversi ma complementari, diventa il cuore del film. Un’amicizia forgiata nella sofferenza, dove ognuno trova nell’altro la forza per sopravvivere.
Nickel Boys non è un semplice film di denuncia sociale. La vera forza dell’opera risiede nella maestria registica di RaMell Ross, che alterna sapientemente i punti di vista tra Elwood e Turner, permettendoci di vivere la storia attraverso i loro occhi. Con un espediente che ricorda i film horror, dove il punto di vista soggettivo ci fa sentire il terrore, Ross ci immerge nella sofferenza quotidiana dei due ragazzi. La violenza alla Nickel Academy non è mai mostrata direttamente, ma viene insinuata, facendoci percepire il suo peso senza mai mostrarne gli orrori in modo esplicito. Questa scelta stilistica amplifica il senso di paura e impotenza, creando una connessione profonda con il dolore dei protagonisti.
Il contrasto tra ciò che vediamo e ciò che non vediamo amplifica l’orrore della Nickel Academy. La violenza è sempre presente, anche quando il film ci mostra immagini di grande bellezza visiva, in dissonanza con la crudezza della storia. RaMell Ross, con il suo background da documentarista e fotografo, costruisce ogni inquadratura come un’opera d’arte, lasciando che la bellezza del paesaggio faccia da contrappunto alla brutalità della realtà.
Le interpretazioni di Ethan Cole Sharp (Elwood) e Brandon Wilson (Turner) sono straordinarie, portando sullo schermo un’intensità emotiva che non lascia spazio all’indifferenza. Attraverso i loro occhi, viviamo la duplice faccia della Nickel Academy: da un lato, la falsa promessa di redenzione offerta ai ragazzi bianchi, dall’altro, l’orrore vissuto dai ragazzi neri, condannati non solo dalla loro condizione sociale, ma dal colore della loro pelle.
Nickel Boys è un’opera che va oltre la semplice denuncia del razzismo. È un film che ci costringe a riflettere sulle ingiustizie ancora presenti nel nostro mondo, sugli abusi di potere che, spesso, restano nascosti sotto una facciata di normalità. Il viaggio di Elwood e Turner alla Nickel Academy è un viaggio nelle profondità più oscure dell’umanità, una storia che lascia il segno e ci ricorda che, sebbene il mondo sia cambiato, le cicatrici della segregazione e della violenza sono ancora ben visibili.
Articolo a cura di Martina Stragis