Giovedì 27 febbraio, presso l’aula Falcone e Borsellino dell’Edificio di Giurisprudenza, si è tenuto il seminario in merito alla condizione vissuta dalle donne in carcere.
L’evento ha potuto giovare dell’importante intervento di Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone che dal 1991 promuove la cultura della legalità penale ispirata ai principi del garantismo e del pieno rispetto dei diritti umani.
Il carcere cela una realtà complessa che per l’ennesima volta pone la donna in una condizione di svantaggio competitivo-esistenziale sotto vari profili.
L’associazione Antigone, autorizzata dal Ministero della Giustizia, compie circa 100 visite annuali nei circa 200 luoghi di detenzione presenti sul suolo italiano, al fine di seguire un lavoro di monitoraggio che sviluppi la propria missione culturale e giuridica.
Nel 2023 è giunto al termine il primo report incentrato esclusivamente sulle carceri femminili dal quale è emersa una necessità di porre in atto diverse modifiche e nuove competenze.
La percentuale di donne recluse è pari al 4,2%, una cifra incredibilmente bassa rispetto a quella maschile, ma ciò non risulta essere un’anomalia italiana bensì un aspetto esteso a livello globale causa di trascuratezza pragmatica nelle varie strutture.
I carceri femminili italiani sono situati soltanto a Roma, Venezia, Trani e ciò implica una sofferta lontananza dal nucleo familiare cosicché si sono formate alcune sezioni femminili nei carceri maschili soggette, però, all’estromissione dalle risorse poste a disposizione. Le detenute entrano in carcere in un loro equilibrio mentale (anche inconsapevole) che inevitabilmente viene smosso dal contesto e che ognuna dovrà gestire autonomamente per mancanza di competenze specifiche.
La relatrice ha tenuto a ribadire, inoltre, come il carcere sia la prova di un latente ma ancora radicato immaginario collettivo ritraente la donna dotata di una “pericolosità sociale” minore rispetto all’uomo, e capace, per così dire, di reati poco gravi dovuti probabilmente ad una sua instabilità psicologica.
Le donne, inconsciamente abituate ad essere vittime, anche nel momento in cui indossano i panni del carnefice sono ugualmente vittime del sistema che le abbandona e le stigmatizza.