Carla Cerati è una fotografa impegnata e sensibile alle questioni sociali ed ha sempre creduto nella potenza delle immagini come strumento per il cambiamento sociale. In particolare, le foto da lei fatte per il progetto “La classe è morta” hanno contribuito alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla delicata situazione che vedeva come protagonisti i manicomi in Italia negli anni ’70.
Cerati non ha mai sottovalutato il valore delle parole, ma è convinta che le immagini abbiano una forza unica e inimitabile. Lei crede che le foto riescano a catturare l’attenzione e a suscitare emozioni in modo immediato e coinvolgente, senza bisogno di lunghe spiegazioni o di tecnicismi.
Le immagini di questa artista hanno contribuito in modo significativo al lavoro di Franco Basaglia per la chiusura dei manicomi e la lotta contro la psichiatria coercitiva, documentando la realtà disumana e violenta di una realtà così difficile, portando alla luce una verità scomoda e spesso nascosta che si sviluppa negli ospedali.
In un’epoca in cui le informazioni erano controllate e filtrate dalle autorità, le immagini di Cerati hanno rappresentato una voce libera e autentica, capace di rompere il muro del silenzio e dell’indifferenza. Il suo lavoro ha dimostrato che la fotografia può essere un’arma potentissima per la denuncia sociale e per la costruzione di un mondo più giusto e solidale.
Nel 1969 venne pubblicato il libro “Morire di classe”, curato da Franco e Franca Basaglia, che conteneva immagini e commenti per denunciare la situazione dei pazienti internati nelle strutture psichiatriche. Il libro rappresentava anche la speranza che la giustizia potesse entrare nel campo della salute mentale e che i pazienti fossero trattati con dignità. Tuttavia, resta da capire se tale impresa abbia avuto successo o se le immagini di quel tipo siano scomparse o si siano semplicemente trasferite altrove, al di fuori delle mura degli ospedali, dentro altre forme di confinamento invisibili.
Questo volume, partendo dalle fotografie di Carla Cerati presenti in “Morire di classe” e da altre che non furono incluse nel libro, intende riproporre il tema dell’universo concentrazionario manicomiale, sia all’interno delle strutture sanitarie obbligatorie, sia nei reparti psichiatrici presenti nelle carceri.
Carla Cerati, nata a Bergamo nel 1926 e morta a Milano nel 2016, iniziò la sua carriera di fotografa come specialista in fotografia di scena nel 1960. Presto allargò i suoi interessi al fotogiornalismo e nel 1969 pubblicò “Morire di classe”, seguito nel 1974 da “Mondo cocktail”, una raccolta di fotografie che esplorava l’ambiente intellettuale e mondano dell’epoca. Nel 1978 pubblicò “Forma di donna” e nel 1980 realizzò per Rai Due la serie televisiva “Dietro l’obiettivo”, composta da tredici episodi dedicati ai fotografi italiani. Nel 1973 pubblicò il suo primo romanzo, Un amore fraterno, per l’editore Einaudi, e dagli anni ’90 si dedicò principalmente alla scrittura, pubblicando numerosi romanzi.
La copertina di Morire di Classe era impossibile da ignorare con i suoi colori vivaci e il titolo audace, infatti, questo non era un libro ordinario, non solo per le sue dimensioni e la forma non convenzionale, ma anche per il suo contenuto rivoluzionario. Le foto erano al centro della scena, rendendo questo un libro fotografico con una forte connotazione politica e sociologica. Morire di Classe aveva l’obiettivo di cambiare il modo in cui l’assistenza psichiatrica veniva concepita e di trasformare il mondo culturale e politico. Le immagini all’interno del libro furono scattate in tre diversi manicomi tra aprile e ottobre del 1968, ma non sono attribuite a un istituto specifico. Questo libro ha cercato di attirare l’attenzione del pubblico e di spingerlo a leggere per far emergere la verità sulla condizione manicomiale.
Le immagini presenti nel libro, scattate in tre diversi ospedali psichiatrici italiani, erano significative per il loro contesto e mostravano i segni della povertà, del ricovero, del tormento e della sofferenza dei pazienti. Nonostante nessuna delle foto fosse corredata da didascalie, l’analisi che emerge dalle pagine del volume contiene i punti fondamentali del pensiero basagliano presentato nel 1969.
Nel 1978, il Governo Andreotti approva la legge 13 maggio 1978, n. 180, nota come “Legge Basaglia”, che mirava a rivoluzionare l’assistenza psichiatrica in Italia, ponendo fine alla costrizione e all’isolamento dei pazienti in manicomio. L’opera di Franco Basaglia, che ha ispirato questa riforma, viene considerata una vera e propria opera d’arte e un esempio di democrazia all’interno delle cliniche psichiatriche.
L’esperienza di Basaglia si concentra sulla democrazia dei “minuti particolari”, in cui la dignità delle persone non può essere violata per motivi di salute mentale. Basaglia sostiene che la democrazia non si limita alla politica generale, ma può essere vista nei dettagli. La pratica di contenere i pazienti nei manicomi viene considerata una forma di totalitarismo nella micro-politica. La soluzione per Basaglia è quella di rendere visibile la costituzione e rispettarla: la reclusione dei pazienti dovrebbe essere consentita solo in caso di reato. Basaglia cerca di eliminare le restrizioni e di chiudere i manicomi, ritenendo che il no-restraint sia solo una soluzione temporanea. Il suo obiettivo è quello di proteggere i pazienti e di liberarli dal sistema concentrazionario rappresentato dai manicomi, come documentato in modo vivido in Morire di classe.
La fotografa Carla Cerati si distingue dagli altri fotoreporter che hanno documentato gli eventi del loro tempo, come Tano D’Amico, Uliano Lucas, Lisetta Carmi e Letizia Battaglia, perché per lei il reportage fotografico è una scelta di partecipazione politica e un modo di credere nel cambiamento personale e sociale. Tuttavia, il suo punto di vista è quello di un osservatore esterno, che si posiziona ai margini della scena. Questa distanza non indica indifferenza, ma piuttosto il suo modo “eccentrico” di osservare la storia.
Nelle foto in Morire di classe, si percepisce una vicinanza emotiva che va oltre la semplice solidarietà o indignazione per le condizioni inumane dei pazienti internati. La Cerati si identifica con i soggetti delle sue foto, si mette nei loro panni e cattura immagini che riflettono anche la sua stessa condizione esistenziale. La sua posizione sospesa tra l’impossibilità del mondo esterno e la desolazione del mondo interno dei manicomi si riflette nelle sue fotografie e ne fa emergere una particolare sensibilità e profondità.