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Organizzazione delle Nazioni Unite. Quali prospettive nel mondo globalizzato?

Nel 1945, in un mondo ancora sconvolto dal secondo conflitto mondiale, nasceva l’Organizzazione delle Nazioni Unite, uno dei progetti politici e culturali più ambiziosi della storia: ad esso veniva attribuito il compito di promuovere e mantenere la pace e la sicurezza su scala planetaria. Cosa resta oggi dell’ONU rispetto a quel progetto originario? Quali sono le potenzialità e quali i limiti delle Nazioni Unite nel nuovo scenario internazionale?

A queste domande si è cercato di dare risposta nell’ambito del convegno svoltosi mercoledì 24 maggio presso l’Aula Organi Collegiali (Palazzo del Rettorato) “Le operazioni di pace delle Nazioni unite tra prospettive di riforma e legge quadro italiana“, organizzato dal Master in Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle” in collaborazione con il gruppo d’interesse tematico “Lo sviluppo attuale dell’organizzazione internazionale fra globalizzazione e regionalismo: fine del paradigma unitario?” della Sidi (Società italiana di diritto internazionale e dell’Unione europea), patrocinato dall’Unric – Centro d’informazione regionale delle Nazioni Unite.

Il convegno ha costituito un’importante momento di analisi e riflessione sulle normative inerenti le operazioni di pace, ed ha tracciato un profilo ed un bilancio dell’Organizzazione stessa, ricostruendone il funzionamento e l’evoluzione attraverso le riforme attuate, quelle mancate e quelle oggi in discussione. Si è concentrato quindi sui progetti di riforma riguardanti il sistema di sicurezza collettiva, nonché la composizione ed il ruolo del Consiglio di Sicurezza, soffermandosi – infine – sugli interessi dell’Italia in questo complesso processo di riforma.

La partecipazione alle operazioni di pace internazionali è un elemento fondamentale della strategia di politica estera di molti paesi in tutto il mondo. L’Italia è stata ed è tuttora coinvolta in varie attività per mantenere e promuovere la pace e la sicurezza internazionale, incluse le operazioni di Peacekeeping (PKO). Il nostro paese occupa il secondo posto tra gli Stati membri dell’UE per il numero di personale impegnato in queste missioni. Tuttavia, restano da colmare alcune lacune importanti in termini di formazione e reclutamento del personale, meccanismi di valutazione delle lezioni apprese, quadro giuridico e modalità di finanziamento.

Il convegno si è focalizzato su tutta una serie di sfide cruciali che le PKO stanno affrontando (come garantire la responsabilità per le violazioni dei diritti umani, come assistere gli stati straziati dai conflitti nei loro sforzi di riabilitazione) ed ha tentato di spiegare come l’Italia e gli altri attori internazionali stiano cercando di rispondere alle numerose contraddizioni create dagli scenari post-bellici.

L’analisi si è concentrata sul ruolo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite come agente di promozione democratica, in quando essa interviene spesso attraverso l’attivazione di operazioni di Peacebuilding aventi finalità non solo di pacificazione, ma anche di trasformazione democratica del paese-obiettivo.

Dopo aver esaminato i principali aspetti teorico-concettuali del fenomeno della democrazia e della democratizzazione, i relatori – tra cui Massimiliano Del Casale, Presidente Centro Alti Studi per la Difesa, e Luca Scuccimarra, Direttore Dipartimento di Scienze Politice della Sapienza – hanno presentato un dettagliato studio sulle operazioni di supporto alla pace dell’ONU, interrogandosi sulla loro efficacia pro-democratica. Le conclusioni a cui il dibattito è pervenuto consistono nella presa di coscienza del fatto che i poteri internazionali sono una variabile importante nei processi di democratizzazione, ma tuttavia non decisiva se questi non si accompagnano a sviluppi di eguale forza e direzione endogeni ai paesi teatro delle operazioni di Peacekeeping. Questo risultato spiega la natura instabile e ibrida di molti paesi oggetto dell’intervento ONU che, nel migliore dei casi, sono sì in transizione dall’autoritarismo, ma non necessariamente in cammino verso un sicuro approdo democratico.

Oggi, l’esercizio del principio di sovranità nazionale risulta fortemente condizionato e vincolato dall’elaborazione della teoria della “primazia dei diritti umani”, quale principio regolatore dei rapporti tra gli Stati. Tale principio impone agli Stati di farsi carico della tutela dei valori supremi dell’ordinamento internazionale. La Primacy ha come corollario il diritto di opporre nei rapporti tra Stati l’eccezione umanitaria, sì da giustificare l’interferenza nella sfera di sovranità interna. Tuttavia, in un mondo in cui l’effettività del diritto è facile ostaggio dell’opportunità politica, è realmente possibile tutelare individui i cui diritti vengono violati ad opera degli Stati stessi?

Buona parte del convegno si è concentrata, pertanto, sulla disamina delle azioni da intraprendersi in ambito ONU da parte del Consiglio di Sicurezza (ma non solo), nella consapevolezza che il rafforzamento dell’efficacia dell’azione delle Nazioni Unite non può prescindere dalla riforma dell’ONU stessa; un’ONU che possa essere autenticamente dei Popoli; un sistema internazionale in cui la coscienza giuridica possa prevalere sulla ragion di Stato.

In che misura gli interventi della comunità internazionale in aree di crisi hanno avviato un processo di pacificazione in quelle società? Dallo studio comparato di alcuni casi, è emerso che l’intervento internazionale non ha creato soltanto nuove tensioni in questi paesi, ma ha anche screditato “globalmente” i concetti stessi di democrazia, mercato e Stato che stanno alla base della modernità.

Nel momento in cui l’idea forte di modernità declina nelle stesse società occidentali e la post-modernizzazione del mondo crea guerre di tipo nuovo, l’Occidente pretende di trasformare radicalmente queste società sulla base di paradigmi in declino. L’auto-rassicurazione politico-culturale che sarebbe dovuta derivare da questo progetto, rispetto alle proprie paure e insicurezze, si trasforma così – con un gigantesco effetto perverso – nel suo esatto contrario.

Quale ruolo, allora, per le Nazioni Unite in un mondo in via di globalizzazione? Come possono esse promuovere ed interpretare la democrazia internazionale? Il declino della sovranità dello stato provocato dalla globalizzazione mette oggi in crisi sia la politica che la democrazia. L’ONU ha le potenzialità per gestire democraticamente la globalizzazione e promuovere il bene comune dell’umanità, ma è ancora controllata dagli stati nazionali e opera in base a relazioni di potere tipiche dell’era pre-globalizzazione. La sua riforma è perciò cruciale, oggi più che mai.

 

Ismaele Pugliese