Qualche minuto dopo le ventidue di mercoledì trenta novembre. Paolo Angeli, chitarrista sperimentale apprezzato internazionalmente, sta per dare il via al suo tour italiano al Teatro Garbatella di Roma all’interno della rassegna promossa da “Diffuse Sound”. Poco prima del suo arrivo, sul palco si staglia la sua inusuale chitarra sarda preparata, uno strumento costruito a mano da Angeli stesso oltre quindici anni fa che gli permette di avere un’intera orchestra a disposizione delle sue mani. Ad arricchire la sua palette sonora ci pensano anche dei distorsori e dei delay analogici, posizionati a fianco dell’imponente strumento.
Dopo essere stato accolto calorosamente dall’applauso del pubblico, Angeli spiega brevemente cosa starà per suonare: una suite improvvisata che varia dai trenta ai novanta minuti di durata, composta anche da frammenti estratti dal suo ultimo album da solista, “Rade”, registrato durante il secondo lockdown quando il musicista tornò in Sardegna, sua terra natale a cui è legato indissolubilmente. Vivendo a Valencia, il sound di Angeli si lascia contaminare dalla tradizione della chitarra spagnola, ibridandola alle sue origini sarde, ma non solo. Il risultato è un melting pot eterogeneo di sonorità che travalicano ogni tipo di classificazione di genere: echi di flamenco, parti vocali in sardo, momenti drone e noise rock, sezioni free jazz, rimandi alla musica balcanica e a quella microtonale del Maghreb. La prima composizione fa sprofondare i presenti in un’atmosfera onirica dove tutto può succedere una volta che le colonne d’Ercole che separano i diversi generi musicali sono ormai cadute. Un vero e proprio viaggio musicale immersivo accompagna per mano gli ascoltatori attraverso i diversi paesi del Mediterraneo, rievocati dalla inusuale diciotto corde di Angeli. Momenti in cui pizzica gentilmente la sua chitarra si alternano a sprazzi squisitamente post-rock dove le distorsioni e i delay analogici prendono il sopravvento con fare avanguardistico. Le parti melodiche dei brani vengono sorrette dall’accompagnamento ritmico generato da Angeli stesso battendo a ritmo i piedi nudi sul legno del palcoscenico sul quale sono stati posizionati diversi microfoni in grado di catturare il suono. Tantissime le tecniche chitarristiche utilizzate con maestria dal musicista: dal pizzicato all’uso dell’archetto di violino fino all’utilizzo di sustain infiniti e di placche metalliche al posto del canonico plettro. Dopo la prima suite Angeli si concede un momento di pausa, ringrazia i presenti per essere stati così attenti alla suite e spiega le vicende dietro alla realizzazione del suo quattordicesimo album da solista, in corsa come “Album of the Year” e “Best Alternative Music Album” ai Grammy Award del 2023. Poco prima di annunciare il secondo e ultimo brano eseguito quella sera, “J’ara”, il musicista, incitato a suonare ancora da uno spettatore, afferma scherzosamente di poter continuare a suonare per altre sei ore: non stupirebbe data la maestria con cui riesce a improvvisare con destrezza con la chitarra preparata. La seconda suite trasporta i presenti in uno scenario dai toni apocalittici reminiscenti di “IRA” di Iosonouncane (musicista, tra l’altro, con cui Angeli ha collaborato): ad aprire il brano è il canto gutturale tipico della Sardegna, che si trasforma poco dopo in una poesia scritta e recitata dal musicista. Le sonorità si fanno ora rarefatte, ora acquatiche grazie agli effetti a pedale che conferiscono alla chitarra di Angeli un timbro spazioso e spaziale.
Terminato il secondo brano (e il concerto) si ha l’impressione di essere stati investiti da un’impetuosa energia creativa, originalissima e senza compromessi, per questo pura e potentissima. Angeli è riuscito a rendere accessibili quasi due ore di suite strumentali, asservendo con maestria la tecnica alla carica emotiva dei brani, vere e proprie cartoline dalle molteplici sponde del Mediterraneo. Il pubblico, infatti, è stato magistralmente accompagnato per mano in questi flussi di coscienza sonori che hanno sintetizzato l’esperienza quindicennale che Angeli ha maturato con la chitarra preparata. Il musicista di Palau si conferma, come sostenuto anche da big come Pat Metheny, uno dei maggiori rivoluzionatori internazionali del linguaggio della sei corde, irrimediabilmente trasfigurato dagli effetti a pedale e dalle modifiche tecniche e meccaniche apportate dallo stesso musicista. Usciti dal teatro, sulla strada di casa, chi ha preso parte al concerto ha la sensazione di aver assistito ad un’esibizione grandiosa, unica e irripetibile. Dal valore inestimabile, per chi ama ciò che, sperimentando, scardina la convenzione.