Ciò che comunemente denominiamo personalità non è tanto qualcosa di compatto e coerente riconducibile all’elemento singolo, all’individuo in quanto unità, quanto piuttosto un’articolato set di possibilità identitarie che adattiamo sistematicamente alla molteplicità dei contesti in cui ci troviamo ad agire.
Nulla di nuovo, se non fosse che l’attuale e pervasiva integrazione dei social network sites in ciò che è possibile definire creazione dell’identità da parte del soggetto renda visibili e tracciabili simili dinamiche, e ci restituisca una visione frammentata e multiforme della personalità online. Per ogni profilo sui social network – infatti – “cambiamo abito”, ci mostriamo diversi, ci adattiamo ai diversi mondi che questi canali di connessione con gli altri rappresentano.
E’ quanto emerge da uno studio dello statunitense Penn State’s College of Information Sciences and Technology (IST) e del King’s College di Londra, che sarà presentato a maggio alla International Conference on Web and Social Media (ICWSM).
Moltissimi gli spunti di riflessione: ri-negoziazione della propria immagine, modificazioni delle nostre strutture mentali, ridefinizione del concetto di privacy. Tra tutti, la consapevolezza del fatto che attraverso i social network sites stia prendendo forma una modalità nuova di interazione sociale che risponde ai bisogni fondamentali degli individui, come l’auto-realizzazione, la ricerca di comprensione dai pari, la ricerca del benessere e della soddisfazione personale. E che gran parte di questa nuova forma di socialità sia basata proprio sulle immagini.
Il modo in cui usiamo i canali di condivisione ci permette – in un certo senso – di disegnare l’immagine di noi stessi così come vorremmo fosse percepita, creando una sorta di nuovo Io, più accettabile, più desiderabile, forse un po’ idealizzato, ma senza dubbio migliore di quanto pensiamo sia realmente.
Per milioni di utenti in tutto il mondo la scelta della propria foto profilo sui social network rappresenta una questione tutt’altro che scontata: si tratta della prima impressione che possiamo suscitare negli altri ed in qualche modo siamo perfettamente consci di quali caratteristiche siano ben visibili in uno scatto e di quali, invece, siano nascoste.
Tramite la piattaforma di aggregazione About.me gli studiosi hanno raccolto informazioni su 100 mila users di profili social. Attraverso l’analisi comparata delle immagini profilo e delle informazioni biografiche, hanno quindi identificato analogie e differenze nell’utilizzo della propria immagine profilo nelle diverse piattaforme.
Su Facebook, ad esempio, solo il 15 per cento delle foto profilo sono di gruppo, molto spesso gli utenti sono all’aperto (perché c’è una maggiore enfasi su attività che non riguardano il lavoro) e nel 7,3% dei casi indossano occhiali da sole, molto di più che su altre piattaforme. Su Twitter, testi e forme come immagini profilo sono molto più comuni che su altri social, mentre il 17% di coloro che decidono di utilizzare una propria foto indossa occhiali da lettura. LinkedIn e’ il social network in cui gli utenti sorridono di più e nel 90% dei casi hanno immagini associate al profilo che li ritraggono da soli. Soltanto il 2,1% indossa occhiali da sole, segno di una maggiore formalità della piattaforma. Instagram si rivela il luogo in cui gli utenti appaiono più rilassati, ed in cui il 40% degli users al posto di una propria foto sceglie quella di un paesaggio o di un cartoon. Inoltre, dall’analisi complessiva emerge – tra l’altro – che le donne scelgono meno foto che le ritraggono con gli occhiali e che gli under 25 sorridono di meno.
Approfondisce il tema dell’identità – almeno per un certo segmento di users – un’altra ricerca che ha indagato il rapporto di alcune donne newyorkesi fra i 20 e i 30 anni con Facebook e Instagram nella costruzione della propria immagine pubblica.
Lo studio afferma che complessivamente l’obiettivo è quello di fornire un’immagine di sé positiva, dinamica, impegnata e creativa, rigettando in modo assoluto associazioni negative e poco brillanti. Le intervistate raccontano di essere molto caute nella formulazione delle loro pubblicazioni, di riflettere ore prima di cliccare il fatidico tasto proprio per evitare un possibile calo dell’autostima nel caso di un mancato apprezzamento da parte dell’audience. Per quanto riguarda le fotografie, sono numerosi gli aggiornamenti della foto del profilo su Facebook, di cui attendono l’apprezzamento con estremo interesse, soprattutto in caso di selfie, poiché – ammettono – sono quelli che riscuotono più successo.
Gli autori osservano come ci sia una notevole componente narcisistica nell’atto di condividere contenuti, non solo però da leggere in un’ottica estetica, ma più ampia, in cui il cardine è una fondamentale e positiva reazione altrui.
Tuttavia, se da un lato appare evidente quanto e come i social network stiano modificando il modo stesso di relazionarci, di confrontarci con gli altri, dall’altro è chiaro come molte delle dinamiche che stanno dietro la creazione della nostra identità virtuale siano le stesse che determinano i comportamenti che adottiamo off-line; ovvero, non sono tanto i social ad ossessionarci, quanto noi stessi e la nostra immagine, che sia essa riflessa in uno specchio o riprodotta su uno schermo.
Ismaele Pugliese