Per il ciclo di seminari Primavera queer/Queering Spring, curati dalla professoressa Marianna Ferrara, lunedì 13 maggio si tenuto l’incontro con la professoressa Daniela Buonanno, insegnante di storia greca presso l’Università di Palermo, sul tema Potenze divine e violenza di genere nella Grecia antica.
La professoressa Buonanno ha iniziato con una parentesi sul tema della fluidità di genere nella mitologia greca, facendo l’esempio del veggente Tiresia, che nacque uomo, ma passò parte della sua vita tramutato in donna in seguito ad una punizione ricevuta poiché dopo aver incontrato due serpenti che si accoppiavano, durante la sua passeggiata, infastidito da ciò, decise di uccidere la femmina.
Ci propone la vicenda di Achille trasformato in Parthenos, a proposito del quale alcune fonti raccontano di questo espediente per sottrarsi alla guerra, egli però dimostrerà poi la sua vera natura mostrandosi attratto dalle armi.
Daniela Buonanno prosegue narrando la rigida separazione dei ruoli nel mondo greco, proponendoci l’esempio di Achille nascosto su un’isola tra un gruppo di vergini per scappare alla guerra, definendo che il matrimonio era per le giovani ciò che la guerra era per i giovani.
Il matrimonio rappresentava il telos della donna, il suo scopo, essa doveva continuare a generare guerrieri, la resistenza alle nozze o all’unione sessuale erano percepiti come comportamenti antisociali con conseguenze catastrofiche.
Le donne nell’antica Grecia, fatta eccezione di pochissimi rari casi, se ancora vergine e non promessa a nessuno, apparteneva alla casa paterna; se, invece, veniva promessa sposa, diventava subordinata al compagno.
Qualora qualcuno avesse rapito una donna libera, sarebbe andato incontro ad una multa, e i reati sessuali sarebbero stati pesanti se e solo se avessero compromesso la sfera familiare.
A questo punto la professoressa ci pone le tre forme comuni di abuso nella mitologia Greca: il ratto, lo stupro e l’incesto.
Partendo dai ratti, in particolare in quelli Persefone ed Europa, viene sottolineato che questi presentano lo stesso schema: la sfera del gioco, quindi la donna che si intrattiene nel suo tempo libero; poi l’elemento profumo/stordimento provocato dall’aggressore; ed infine il rapimento.
Trattando invece il tema dello stupro, ci viene presentato quello di Nemesi da parte di Zeus, dove nel racconto emergono chiaramente tutti i sentimenti provati dalla vittima che tenta continuamente di scappare, ricorrendo, vanamente, alla metamorfosi, per ingannare l’aggressore.
E ancora, lo stupro di Cassandra, una donna mortale, da parte di un altrettanto mortale aggressore.
Questa volta però la vittima individua nella supplica dell’aggressore, nei pressi di una statua di una divinità, un modo per salvarsi dalla sua sorte, ma ciò non ferma il malintenzionato dal suo intento.
In questo caso il crimine, per l’antica Grecia, risulta essere più grave del solito, perché l’atto si è consumato nei pressi di un santuario, luogo ritenuto sacro.
Raccontandoci dell’incesto di Edipo e Giocasta, Daniela Buonanno sottolinea come per Platone l’incesto era considerato un gesto indicibile sia da parte di chi lo compiva, che da parte di chi lo subiva.
L’incontro si chiude con una riflessione sulla figura della donna in Grecia antica: essa rappresentava una minaccia poiché dotata di astuzia e del dono della seduzione che doveva assolutamente essere tenuto sotto controllo, essa era parte di una stirpe nefasta, considerata un male necessario.