Martedì 2 maggio si è tenuto l’ottavo incontro della terza edizione del Progetto culturale Sapienza/Caffè letterario, dedicato alla presentazione dei lavori degli studenti della Facoltà di Architettura di piazza Borghese che hanno partecipato al concorso internazionale indetto dalla Fondazione Eduardo Torroja. I ragazzi, coordinati e seguiti da professori e tutor, hanno ideato e messo in pratica progetti per il logo del polo museale di Madrid. Al concorso hanno preso parte gli studenti di 77 università in tutto il mondo.
Il Museo Edoardo Torroja si trova all’interno dell’ippodromo della Zarzuela, una struttura progettata nel 1941 e che deve il proprio nome alla vicinanza con il Palazzo della Zerzuela, residenza dei sovrani spagnoli. È dedicato all’esposizione di disegni, fotografie e modelli che illustrano e tributano l’originale produzione di Torroja.
È proprio con la contestualizzazione artistica del noto architetto madrileno che, dopo i saluti del Prorettore Vicario Renato Marsiani, la Professoressa di Storia e Architettura Marzia Marandola apre il convegno.
Ci spiega le peculiarità del Torroja, famoso non tanto per il numero di opere all’attivo, quanto per l’unicità delle sue produzioni basate su Razon y ser, logica e intuito. Scopro che l’architetto spagnolo fonda il proprio stile su un uso marginale del calcolo matematico. Questa particolarità, a causa delle mie scarse attitudini matematiche, tiene alto il mio livello d’attenzione.
Segue l’intervento della Professoressa di Progettazione Architettonica Donatella Scatena. Il suo corso mira a preparare gli studenti alla progettazione di un edificio pubblico. Una biblioteca, nello specifico. Il pretesto di questo concorso ha permesso ai ragazzi di invertire il tradizionale percorso di apprendimento: decostruire l’opera di un artista come Torroja è un esercizio straordinario per chiunque si approcci alla progettazione. Partire dalla struttura, capirla, sviscerarla fino all’idea fondante, allo scheletro, al progetto stesso di un’opera architettonica.
La Prof.ssa Patriza Trovalusci, docente di Scienza delle Costruzioni, prende la parola enfatizzando quel tratto a me tanto caro dell’artista: il calcolo, esordisce, è un ostacolo alla dimensione creativa dell’architetto. Torroja lo sapeva e usava la matematica soltanto alla fine del progetto, come strumento di prova e controllo. L’intervento si sposta poi sul tema del dialogo interdisciplinare. È importante che l’architetto torni a dialogare con l’ingegnere, abbandonando competizioni poco virtuose e troppo spesso presenti. C’è bisogno di un coordinamento tra i due specialisti: un dialogo in grado di completare l’aspetto meramente progettuale con quello etico della struttura. In questo modo si viene incontro a esigenze sociali, la dimensione della sostenibilità ambientale ad esempio, o la costruzione in zone ad alto rischio sismico.
Dopo un breve intervento di Cinzia Capalbo, Phd in Architettura, che ha seguito e coordinato i ragazzi durante il concorso, arriva il momento del contributo degli studenti. Un ragazzo che ha più o meno la mia età si alza e, un po’ in imbarazzo, impugna il microfono. Ringrazia l’Università. Sa di aver avuto un’opportunità importante. Ci racconta che partecipare ad un concorso non è facile, ma è bello. Quando l’Università propone queste occasioni, sono uno spunto per la crescita personale: “dopo questo primo concorso”, spiega, “ne ho fatti anche altri. È stato un apripista”. Bellissima testimonianza. L’Università diventa stimolo e un mezzo verso il fine pratico, cioè crescita personale e professionale. È raro trovarsi di fronte a situazioni in cui lo studente universitario è così a proprio agio durante un convegno con i propri professori. Forse nelle facoltà giuridiche, come la mia, lo è ancora di più. Rimango colpito.
In chiusura assistiamo all’intervento della Preside della facoltà di Architettura Anna Maria Giovenale che insiste sull’importanza di questo concorso come una grande opportunità per gli studenti. Un’occasione per mettersi alla in un contesto internazionale. Si discute spesso di interdisciplinarità e questa evento è la vittoria della cooperazione tra cattedre diverse. Una disciplina da sola non può fare l’architetto. È necessario fondere vari approcci, tanto più che andiamo verso un’era di progettazione digitalizzata.
Il convegno si chiude. A dire il vero, più che di convegno, sarebbe meglio parlare di un incontro di condivisione dai toni formali. Forse è semplicemente la mia idea di convegno ad essere distorta. L’atmosfera del Caffè Letterario, i toni seri ma confidenziali, contribuiscono a creare un piacevole salotto di condivisione intellettuale e confronto interdisciplinare in cui emerge la passione degli oratori e degli studenti: spronano i ragazzi alla partecipazione attiva alla vita universitaria, che vuol dire fare le proprie proposte che sempre più devono essere prese in considerazione dal corpo docenti universitario. Un’attenzione allo studente che colpisce e si pone come un esempio virtuoso per tutte le facoltà, anche quelle che più enfatizzano il distacco tra Professori e Studenti. Ogni riferimento a quelle giuridiche è puramente casuale.
Simone Di Gregorio