Si è svolto martedì 15 ottobre, presso l’Unitelma Sapienza, il quarto incontro del ciclo di seminari “La Notte della Repubblica”, dedicato ai grandi momenti della Prima Repubblica italiana, con ospite lo storico Umberto Gentiloni per parlare del 1968, l’anno che rivoluzionò il mondo.
Ad aprire i saluti iniziali è stato il Magnifico Rettore di Unitelma Bruno Botta: “avevo 14 anni nel 1968, un anno che ci cambiò la vita. Ricordo che a quei tempi ci si poteva iscrivere in alcune facoltà solo con il diploma classico, a proposito della critica e della lotta al classismo e all’autoritarismo di quella stagione”. Ha proseguito così: “si iniziava a parlare di grandi temi, il femminismo, la rivoluzione culturale, i movimenti studenteschi, è indubbio che molto è cambiato. Siamo felici, infatti, di ospitare oggi Umberto Gentiloni che saprà sicuramente descriverci meglio quel periodo“.
È stato poi il turno dei due moderatori, artefici di questi momenti di cultura e di storia, la storica e divulgatrice RAI Michela Ponzani e di Roberto Sciarrone, responsabile dell’Area Comunicazione, Eventi e Cerimoniale di UnitelmaSapienza. Michela Ponzani ha subito introdotto i primi interrogativi rivolti a Gentiloni: “è un anno il 1968 che ha rappresentato davvero una cesura con il passato, momenti scolpiti nella memoria di tutti. Una rivoluzione politica, sociale, economica, di costumi e, soprattutto, culturale. Attraversare quella stagione non è facile, tuttavia ci domandiamo qui oggi, cos’è stata realmente questa ondata di manifestazioni studentesche?”.
Prima di giungere alla risposta di Gentiloni l’incontro è stato arricchito di immagini e video di repertorio provenienti dalle preziose teche Rai e di alcune clip tratte dall’inchiesta Rai di Sergio Zavoli, La Notte della Repubblica. A beneficio dei presenti, un corollario di video in cui protagonisti sono gli studenti dei campus americani, laddove esordirono i primi moti studenteschi per poi diffondersi in tutto il mondo; dal maggio francese al sessantotto italiano.
Dunque, chi sono questi giovani in piazza che manifestano?
I giovani di allora? Chi erano, cosa volevano? – è bene chiarirlo attraverso le parole di Gentiloni che prosegue: “Mi preme fare innanzitutto due riflessioni. La prima, ci troviamo a distanza di 25 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. C’è quasi un passaggio generazionale, c’è poi la questione fondamentale di aver ereditato uno spazio sulla terra e c’è bisogno di viverlo”. Un cambio drastico nella società italiana, che vide per la prima volta la possibilità di impiegare del tempo libero, di interrogarsi sulla propria identità, sui propri costumi; spazi che i giovani per la prima volta si prendono con forza.
Un’Italia che nella sostanza si sente lontana dall’emergenza della guerra e che “inizia a pensare davvero che i figli vivranno di più e meglio dei propri genitori”, prosegue Gentiloni. Alcune parole chiave: benessere, spensieratezza, gioia, entusiasmo, onde di positività che toccarono alcune fette della società italiana.
Dalla West Coast americana si diffonde la lotta per la rivendicazione dei propri diritti, del free speech; tradotto nel contesto italiano, il pensiero che gli atenei italiani sono troppo piccoli per contenere quella “spinta di conoscenza” – nelle parole di Gentiloni – che i giovani desiderano. In Italia i primi scontri sono violenti, da una parte gli studenti, dall’altra le forze dell’ordine, la battaglia di Valle Giulia diventa un episodio emblematico di quegli anni, uno scontro di piazza tra manifestanti universitari e polizia, in cui era forte la sensazione tra i giovani che il vento soffiasse dalla loro parte e che la storia li avesse voluti lì per dare voce a un’esigenza profonda. Essi protestavano contro il classismo, l’imperialismo, il totalitarismo, la guerra in Vietnam, rendendo le università il centro dell’impegno politico di quegli anni.
Cosa resta allora della Rivoluzione auspicata?
Sempre Gentiloni afferma: “Il 68’ è figlio degli anni ’60, delle trasformazioni che caratterizzarono un pezzo di mondo investito dalla guerra. Pasolini, grande protagonista di quel periodo, assunse come al solito una posizione divisiva e intelligente, interrogandosi continuamente sull’avvento della società dei consumi, del suo modo di penetrare nell’antropologia e nelle viscere delle persone, modificandone comportamenti, valori e aspirazioni. Nei consumi dove convive il lato positivo, il progresso, la prosperità; ma anche l’aspetto negativo – quello che sottolinea Pasolini appunto – il consumo omologante, di assuefazione al potere (citando Foucault). Pasolini vuole segnare la vicinanza agli uomini che indossano la divisa, nient’altro che figli di quel proletariato che sono i primi a soffrire del cambiamento in peggio della società”.
Una posizione che gli valse non poche critica, ma che aprì un varco al dibattito, ad un ragionamento più ampio sulla modernità. Gli indicatori della vita che migliorano sono netti: la cittadinanza, i diritti, i beni di consumo e il tempo finalmente a disposizione dei cittadini.
Il 68’, una lampadina della fine della Guerra Fredda
Per concludere, Gentiloni lascia spazio ad una riflessione molto importante: “Il 68’ è stata quella spia che ha iniziato a far vacillare l’ordine bipolare della Guerra Fredda e, di conseguenza, della Repubblica dei partiti”, prosegue, “iniziano a nascere forme di partecipazione attiva che si sostituiscono ai partiti che sono fuori e contro gli stessi, c’è una messa in discussione dell’ordine preesistente”.
E qui sorge spontaneo un quesito: è stata la politica lenta rispetto alla società o l’inevitabile cammino di quest’ultima verso il cambiamento era troppo forte da interrompere? Sostiene Gentiloni che quel mondo che rappresentava da una parte l’area di influenza atlantica e dall’altra quella sovietica, non riescono più ad orientarsi in un mondo che viaggia spedito verso il superamento di vecchi modelli post bellici, che già nella Primavera di Praga e il colpo di Stato in Cile, l’equilibrio della Guerra Fredda inizia lentamente a vacillare, andando incontro al reflusso degli anni Ottanta in Italia e alla caduta inevitabile del Muro di Berlino.