Nella giornata di oggi, 24 novembre, l’Università di Roma La Sapienza per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebrerà domani 25 novembre, ha organizzato l’evento “Le donne, un filo che unisce mondi e culture diverse”, presso l’Aula Magna del Rettorato della Città universitaria della Sapienza.
L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Polizia di Stato e con Telefono rosa, ed è possibile recuperarlo sul canale ufficiale YouTube della Sapienza.
Evento per la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne
Le donne vengono uccise e subiscono violenza in tutto il mondo, per questa ragione gli eventi come le manifestazioni, i convegni e le attività devono essere sia luoghi di sensibilizzazione, ma anche atti a promuovere e avviare un cambiamento effettivo ed efficace.
Le giornate internazionali dedicate, come anche la giornata dell’8 marzo, devono essere non soltanto momenti singoli per ricordare, ma affinché qualcosa possa cambiare un fenomeno come la violenza di genere, ormai costato dagli studi sociali come sistemico e di derivazione culturale, deve esserci un’azione forte costante e incessante sia da parte delle istituzioni (dagli enti governativi, l’università e le scuole, fino alle famiglie) che della società e del singolo cittadino.
La Magnifica Rettrice Antonella Polimeni e Anna Maria Giannini hanno voluto dedicare l’intero incontro al ricordo della giovane 22enne vittima di femminicidio Giulia Cecchettin, uccisa dal suo partner Filippo Turretta e a tutte le 106 donne vittime di femminicidio.
“Al di là della retorica delle giornate del 25 novembre e dell’8 marzo, in cui ci sono eventi ovunque, bisogna lavorare tutti i giorni”, per questa ragione, “questo evento è dedicato a tutte voi ragazzi e ragazze perché si possa tutti insieme andare a sopperire quei vuoi culturali e quel vuoto di azione che si protrae da troppo tempo nel contrasto contro la violenza di genere”, ha affermato la Magnifica rettrice Polimeni.
Il fenomeno della violenza di genere è cristallizzato nella nostra cultura di stampo patriarcale e questo viene dimostrato nella vita quotidiana di tutti i giorni in cui il potere è ancora di egemonia maschile. I progressi sono indubbi, ma non sono ancora sufficienti per avvicinarsi alla risoluzione del problema.
“I numeri sono duri e ci dimostrano che una donna viene uccisa ogni tre giorni.” – ha sottolineato Polimeni – “Dietro questi numeri, ci sono tante altre violenze che dal punto di vista scientifico non hanno una diretta correlazione socio-economica, territoriale o con il target di età, ma riguarda tutti e tutte“.
Il cambiamento sembra ancor oggi lontano, infatti, alcuni ambiti di studio come quelli riguardanti le materie STEM sono luoghi in cui vigono forme di controllo ancora prettamente maschili. “Queste sono forme di violenza, a cui le donne sono ancora sottoposte e da cui è importante uscire, perché dobbiamo contrastare e cancellare lo stereotipo per il quale si crede che queste materie sono state pensate per gli uomini“, ha sottolineato Marco Schaerf, Preside della facoltà di Ingegneria Informatica, che in questa occasione ha rappresentato tutto il corpo dei Presidi di facoltà della Sapienza.
È importante non ignorare la trasversalità della violenza e le numerose sfaccettature e maschere con la quale essa si cela, poiché non è soltanto manifesta come quella fisica, ma può essere anche psicologia, economica e verbale. Nel contrasto, la tutela e la prevenzione alle numerose forme di violenza il Telefono Rosa – come ha affermato Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di Telefono Rosa – si sta muovendo fin dalla sua creazione ormai ventennale, “perché noi partiamo dalle scuole, ma i problemi continuano a esserci e la violenza è presente in tutto il mondo. Non c’è niente di più democratico della violenza, perché colpisce tutti i paesi e le persone”.
Come continua Moscatelli, “il passato deve essere ricordato, per poter imparare dagli errori e poter modificare il futuro“. Le piazze pullulanti di giovani senza dubbio dimostrano come il tema della violenza di genere sia sentito e condiviso dalle nuove generazioni. “I giovani hanno capito che si devono far sentire, ma questo dimostra anche che noi non abbiamo fatto abbastanza, che abbiamo fallito e non siamo riusciti a trasmettere i giusti messaggi. Per questa ragione ci impegneremo sul tema della violenza assistita, perché quello che avviene all’interno delle famiglie i ragazzi lo assorbono e poi lo portano al di fuori del nucleo“.
A chiudere i saluti istituzionali è stata Monica Lucarelli, assessora alle Politiche della sicurezza, attività produttive e pari opportunità di Roma Capitale, che ha sottolineato che “le istituzioni devono assumersi una responsabilità quotidiana che possa portare una trasformazione culturale che è fondamentale a combattere non un’emergenza, ma una crisi umanitaria come la violenza sulle donne. Basta pensare che si tratta di femminicidio solo quando c’è l’atto, ma dietro al numero 107 c’è una violenza che si perpetua su tantissimi fattori“.
Le varie sfaccettature di violenza spesso rendono la stessa difficilmente riconoscibile, per questa ragione è fondamentale fare rete per diffondere consapevolezza, educazione e sensibilità.
La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani e di discriminazione
La Convenzione di Istanbul del 20111 definisce “la violenza sulle donne una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. Questa combinazione pone la violenza sulle donne in un piano ancora più alto e importante sulle forme di tutela (almeno sotto il profilo culturale), poiché i diritti umani sono quelle forme di diritti che spettano a qualsiasi individuo solo per il fatto di essere nato”, ha tenuto a sottolineare per un rigore metodologico Vittorio Rizzi, vice direttore generale della Pubblica Sicurezza con funzioni vicarie, Ministero dell’Interno.
Ponendo una particolare attenzione al genere, Rizzi si è soffermato sull’importanza di definire il genere, seguendo pedissequamente la Convenzione, come qualcosa che vada oltre il fattore biologico, ma dentro il quale rientrano i “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini” (Convenzione Istambul).
Al fine di contrastare adeguatamente il fenomeno della violenza contro le donne “bisogna avere un’informazione che bisogna essere esaustiva, pertinente, rigorosa e comparabile“, ragion per cui il set dei dati (che oggi è limitato) per volere del Legislatore verrà ampliato per tutte le istituzioni. Nel caso specifico del Ministero dell’Interno verrà ampliato il set dei reati spia (ossia a 33 fattispecie diverse e si studierà la relazione autore-vittima, considerando un minimo di 15 tipi di relazioni.
Si è consapevoli del fatto che la prevenzione e tutte le forme di tutela fino adesso applicate non sono state sufficienti a frenare il fenomeno della violenza. La violenza affonda le proprie radici negli stereotipi e nei pregiudizi, prendendo poi piede con forme di discriminazione esplicite, che pian piano di strutturano e si sistematizzano in forme implicite. La diffusione della misoginia e delle altre discriminazioni di genere in Italia hanno un origine di derivazione culturale a causa del sistema patriarcale vigente, che educa le nuove generazioni normalizzando la violenza, lasciando spazio sempre più frequentemente a fenomeni come il victim blaming.
Il dato che fa riflettere nei reati spia (con cui si intendono tutti quei delitti che sono indicatori di violenza di genere, espressione dunque di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica), “è che il 9% delle vittime sono minori“. Infatti, diversamente dalle vittime di femminicidio che nella maggior parte dei casi riguardano donne adulte, “le vittime di reati spia sono donne giovani appartenenti al range tra i 31 e i 44 anni, seguite da donne ancora più giovani tra i 18 e 30, il rimanente 9% sono minori”. Mentre, i colpevoli di questi reati sono nella maggior parte dei casi uomini adulti tra i 30 e 40 anni e per il 70% sono italiani.
Contrasto alla violenza sulle donne: l’operato del Centro antiviolenza della Sapienza
Come dimostra il caso di Giulia Cecchettin, ma anche il monitoraggio e i risultati dell’operato del Centro antiviolenza della Sapienza, la violenza di genere riguarda nella maggior parte dei casi vittime giovani tra i 18 e i 34 anni. “Del 48% delle vittime giovani, nel caso del Centro antiviolenza della Sapienza, il 50% ha meno di 24 anni. Questo rende ancora più importante la presenza del Centro antiviolenza e di tutte le istituzioni che si occupano di formazione”, ha sottolineato Giuliana Giardi, responsabile del Centro antiviolenza alla Sapienza.
Il Centro antiviolenza della Sapienza fornisce supporto psicologico e legale in forma gratuita e in completo anonimato a tutte le vittime. “Rivolgersi ai giovani è importante sia per la prevenzione che all’educazione sulla violenza” – ha continuato Giardi – “Gli atti di violenza hanno come scopo quello di isolare la vittima, anche al primo sentore è importante confrontarsi“, trovando insieme degli strumenti per modificare un comportamento o riuscire ad uscire da una situazione di violenza.
Violenza e donne come filo conduttore tra culture
Nella seconda parte dell’evento è stato fortemente intenzionale creare un filo conduttore della violenza, riportando testimonianze differenti provenienti da altre parti del mondo come ad esempio dall’Afghanistan e dal Congo.
Difatti, come testimone della situazione di violenza e discriminazione vissuta dalla donne in Afghanistan è stato proiettato in una piccola anteprima il documentario The dreamers: Afghan Women’s Resistence del regista Alessandro Galassi, in cui viene immortalato e vengono intervistate numerose donne afghane che lottano contro la violazione dei propri diritti elementari come quelli della formazione e dell’istruzione. Infatti, per sopperire a tale abuso di potere le donne si sono mobilitate per creare una scuola clandestina, per consentire a tutte coloro che vogliono di poter continuare i loro studi.
Come racconta Galassi, il travolgente mondo pop e colorato del gruppo coreano dei BTS è come un filo conduttore che collega tutte le persone del mondo. Le canzoni dei BTS è ciò che gli ha consentito di trovare un’unione tra le donne afghane e lui “maschio bianco e occidentale, al quale ovviamente inizialmente hanno fatto fatica ad aprirsi“.
L’istruzione è un diritto fondamentale e consente di poter essere realmente liberi, consentendo di sviluppare un pensiero critico, permettendo così di sottrarsi anche a forme di violenza e di prevaricazione. Per questo motivo, le donne afghane continuano ogni giorno a fare resistenza ai continui soprusi del regime di intolleranza e di prevaricazione e violenza talebano.
Un’altra testimonianza importante e celata è stata riportata all’attenzione da Christine Schuler Deschryver, vicepresidente della Fondazione Panzi, co-fondatrice con il premio Nobel Denis Mukwege e direttrice della “Città della Gioia” ( centro per donne sopravvissute alla violenza a Bukavu della Repubblica Democratica del Congo), la quale ha raccontato che in Congo “c‘è una guerra silenziosa che sta andando avanti. Non se ne parla perché si trova nel centro dell’Africa”. Nonostante la guerra sia finita da molto tempo, uno dei miglior indicatori dello stato della situazione del Congo – sottolinea Deschryver – sono gli ospedali, in cui i letti “sono pieni di bambini e donne che subiscono violenza”.
L’occidente aiuta apportando un supporto economico, ma non è un reale aiuto per stati come il Congo in cui la guerra è stata portata e voluta dai Paesi occidentali.
Infine, Patricia Thomas, consigliera ed ex presidente della Stampa estera, corrispondente di APTN – Associated Press Television News, porta la testimonianza dalle Filippine in cui le ragazze del posto vengono usate dai bar per intrattenere gli ospiti. Nella maggior parte dei casi questi erano occidentali e potevano prendere, toccare e violentare queste donne per pochi soldi.
Questo testimonia che la violenza ha molte forme, ma che unisce tutti i Paesi, poiché l’idea che la donna possa essere un oggetto e una proprietà maschile è un’idea intergenerazionale e transculturale.
Il percorso culturale contro la violenza parte dall’educazione e dalla formazione
In conclusione dell’evento la Sapienza ha voluto trarre delle conclusioni apportando anche delle possibili soluzione al contrasto della violenza. Vittoria Doretti, responsabile regionale del Codice Rosa Toscana, “il codice rosa è il coraggio dell’umiltà. Cosa ce ne facciamo delle norme e delle regole, se manca un supporto sanitario adeguato”. Infatti, nei suoi lunghi anni di carriera Doretti si è resa conto che comprendere in anticipo e attuare delle procedure adeguate in soccorso e tutela della vittima di violenza può essere un atto salvifico.
“Il codice rosa arriva da 0 (c’è stato un incremento dai 0 ai 2 anni) fino gli oltre 100 anni. È importante portare le statistiche e monitorare i casi, e il fatto che sopra i 70 anni non ci sia una statistica significativa se non quella del Codice Rosa Toscana è una cosa inaccettabile”, ha concluso Doretti.
A partire dalla Convenzione di Istambul, fino alla legge per il contrasto alla violenza approvata ieri, 23 novembre 2023, in Senato, in particolare quest’ultima – come tiene a sottolineare Fabrizia Giuliani, docente della Sapienza Università di Roma, e coordinatrice del Comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio nazionale contro la violenza sulle donne nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri –“rafforza la protezione delle donne soprattutto nel momento in cui scelgono di denunciare e potrebbero non avere il sostegno delle istituzioni”.
Tuttavia, i progressi da fare sono ancora tantissimi. Il cambiamento è ancora lontano, tanto che come riporta anche Flaminia Saccà, docente della Sapienza Università di Roma, “l’Italia è al 79 posto tra i Paesi che più sono colpiti dal gender gap. Questo divario uomo e donna non soltanto si traduce in possibili discriminazioni sociali, ma anche in crimini violenti“.
Per avviare un percorso culturale contro la violenza è fondamentale cambiare le narrazioni e le rappresentazioni della stessa violenza. Dal lavoro del progetto Step, coordinato da Saccà, è risultato evidente come la violenza a livello mediatico, ma anche forense negli atti giudiziari tende a deresponsabilizzare il carnefice e a colpevolizzare la vittima. Per una corretta rappresentazione della violenza è importante mettere al centro i responsabili, soltanto in questo modo si potrà evitare di normalizzare e sminuire la violenza.