La fiducia riposta nella scienza, non è mai riposta male. Ce lo confermano le scoperte scientifiche che mano a mano vengono annunciate dagli studiosi che vi si sono dedicati. La rivista Science, considerata una delle più prestigiose in campo scientifico, ha annunciato i risultati dello studio che da tempo stava conducendo il gruppo dell’Università britannica di Cambridge guidato da Sara Harrison: è stato ottenuto il primo embrione artificiale.
Si tratta di un embrione di topo, formato a partire da cellule staminali che si sono assemblate dando origine a una struttura tridimensionale in tutto e per tutto simile a un embrione naturale.
Oltre alla notizia, di per sé importantissima, si deve considerare anche che questo rappresenta un record, poiché è la prima volta che si riesce a riprodurre esattamente tutte le fasi dello sviluppo di un embrione in una struttura tridimensionale.
Quali sono quindi i vantaggi di questa innovazione? Carlo Alberto Redi, direttore del laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’Università di Pavia, spiega che, osservando le cellule nella struttura tridimensionale, è possibile “non soltanto di osservane lo sviluppo, ma di comprenderne il comportamento a seconda della posizione che occupano” e che “ci sono infatti moltissime informazioni che una cellula acquisisce dall’ambiente in cui è immersa e dalla particolare posizione che occupa e adesso è possibile conoscerle”: diventa possibile, quindi capire i meccanismi che permettono all’embrione di superare le primissime fasi dello sviluppo, e di conseguenza, capire meglio l’origine di molte malattie legate a queste fasi.
L’embrione artificiale, quindi, essendo un vero e proprio fac simile di quello naturale, completo sotto ogni punto di vista – compresa la formazione delle cellule germinali destinate a diventare ovuli e spermatozoi – potrebbe addirittura svilupparsi dando origine a un feto? Questo, secondo i ricercatori, è improbabile, perché per arrivare a questo evento sarebbe necessario l’utilizzo di staminali volte alla formazione del sacco vitellino, la cui rete di vasi sanguigni nutre l’embrione.
Per il momento, la scoperta risulta importante soprattutto per la zootecnia. Sempre il professor Redi, sostiene che “se in futuro la tecnica sarà perfezionata e si riuscirà a concretizzare la possibilità teorica di far sviluppare un embrione fuori dall’utero, allora si potranno ottenere degli “avatar” degli animali da laboratorio”. In questo modo, i test sugli animali diverranno un lontano ricordo.
A quanto pare, la fiducia che abbiamo nelle ricerche scientifiche non viene tradita.
Giulia Baldino