Quello della sicurezza sul lavoro per i migranti impiegati nel settore agro-zootecnico è uno dei temi affrontati dalle numerose conferenze organizzate dal Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma in occasione della Settimana della Sociologia. Se n’è parlato, di fronte ad una numerosa platea di studenti, il 15 ottobre, nell’ambito di una open class del corso di Fondamenti di scienze sociali tenuto dalla prof.ssa Giovanna Gianturco, che ha sottolineato, introducendo l’incontro, la grande attualità del tema.
Primo ad intervenire, in collegamento Skype, è stato Marco Omizzolo, sociologo e responsabile scientifico della cooperativa inMigrazione, che ha illustrato la sua esperienza con i braccianti indiani del territorio di Latina. Omizzolo ha raccontato di situazioni in cui i braccianti sono sottoposti a continue vessazioni e ridotti quasi in condizioni di schiavitù, con “armi puntate addosso per costringerli a lavorare in maniera più intensiva”. Il sociologo ha evidenziato una mancanza di consapevolezza da parte dei braccianti stranieri, dovuta anche alle carenze linguistiche. “È proprio la migliore conoscenza dell’italiano – secondo Omizzolo – che porta i lavoratori ad acquisire maggiore coscienza di ciò a cui sono sottoposti, che in molti casi li porta a denunciare i caporali”.
Quindi a prendere il microfono è stata Benedetta Persechino, dell’INAIL, che ha evidenziato come la legge sul caporalato, che è stata “una grande conquista”, è nata a seguito “della morte di una bracciante agricola pugliese, e non di uno straniero”. Ha quindi illustrato una ricerca condotta in diverse parti del territorio nazionale, e che aveva lo scopo di valutare la percezione del rischio da parte dei lavoratori “da due punti di vista: quello dei datori di lavoro e quello dei lavoratori stessi”. I risultati della ricerca, però, sono stati spiegati più in dettaglio da Patrizia Laurano, docente della Sapienza Università di Roma, che si è concentrata in particolare su quelli riguardanti il Lazio. Si tratta di “un territorio abbastanza diversificato: se la provincia di Latina è un territorio molto difficile, il reatino presenta invece realtà meno problematiche”. Uno dei dati più significativi che emergono è “la percezione molto bassa dei rischi” da parte dei lavoratori, che corrisponde ad una loro sensazione “di buona salute”. Condizione che li porta a fare passaparola con amici e parenti, “ad indicare ad altri il posto di lavoro più che a denunciare i trattamenti a cui sono sottoposti”.
Infine Luca Di Sciullo, presidente del centro di ricerche Idos, ha smentito il falso mito della “sostituzione etnica”, sostenendo che la presenza di stranieri in Italia – che ammonta a 5,2 milioni – corrisponde a quella degli Italiani all’estero, che conta soltanto 100mila unità in meno. Si è soffermato, quindi, sugli aspetti legati all’immigrazione, illustrando la differenza tra migranti economici e migranti forzati e mostrando come in entrambi i casi il destino non sia dei più rosei. In Italia, infatti, “viene disconosciuta la principale causa che spinge gli stranieri a venire nel nostro Paese”, ovvero il lavoro. Ed è proprio l’impossibilità di stipulare contratti di lavoro, secondo Di Sciullo, che porta spesso i migranti a diventare irregolari e ad accettare lavori in nero. Situazione, quest’ultima, “a cui sono costretti anche molti giovani italiani”, contraddicendo l’idea secondo cui “i migranti vengono a rubare il lavoro agli italiani”.
L’intervista a Luca Di Sciullo.