Il sovraiuto benevolo si presenta nella situazione di aiuto, che Carl Rogers, psicologo statunitense, ha definito come “una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato“. Fino agli anni Sessanta veniva data importanza solo alla figura del donatore, ma attraverso degli studi, si è scoperto che anche il ricevente ha un ruolo importante nella relazione di aiuto. L’aiuto infatti, agli occhi del ricevente, può essere considerato come un “dono misto”, questo perchè non è solamente sinonimo di cura e interesse da parte del donatore, nei confronti del ricevente, ma è anche la dimostrazione esplicita che quest’ultimo ha bisogno di lui per poter risolvere i propri problemi; questo in lui può provocare imbarazzo e un sentimento di sconfitta, soprattutto se questo avviene in pubblico, causando la nascita di un fenomeno psico-sociale poco esplorato:
Sovraiuto benevolo
Nella relazione di aiuto, il donatore può decidere di offrire al ricevente un aiuto che sia orientato alla sua autonomia, oppure un aiuto finalizzato alla dipendenza del ricvente nei suoi confronti (Leone, 2009), per cui il donatore deve chiedersi se l’aiuto è orientato verso una maggiore autonomia futura, oppure è la conferma di un destino di dipendenza nei confronti dell’altro. In questo contesto si possono verificare tre condizioni in cui si può donare il proprio aiuto:
- la prima è una condizione di scarsità: non essere aiutati, essere aiutati poco, essere lasciati soli di fronte alla propria impotenza.
- la seconda è una condizione di accettabile equilibrio: essere aiutati temporaneamente, in modo che aumenti la possibilità di una propria autonomia futura.
- la terza è una condizione di eccesso: essere aiutati troppo, risolvendo il proprio problema del momento, ma accettando di pagare un costo socio-psicologico grave che sottolinea la propria dipendenza (sovraiuto benevolo).
Queste tre condizioni non possono non tener in conto del tipo di problema trattato e di quali sono le effettive capacità di colui che riceve l’aiuto. Nel caso del sovraiuto benevolo viene donato un aiuto esecutivo, in cui il donatore risolve il problema al posto della persona interessata piuttosto che donare l’aiuto strumentale, limitato alle effettive esigenze del recevente dell’aiuto (Francesca D’Errico, Tiziana Mastrovito e Giovanna Leone). In questa relazione è importante, quindi, la figura dell’altruista, cioè chi ricerca. come fine del proprio operare, il bene altrui (Treccani) e che si accorge dello stato di bisogno dell’altro, anche se le società moderne sono sempre più basate su una logica di competitività che rischia di escludere chi non riesce a stare al passo. La tendenza spontanea all’aiuto si presenta anche in una fase preverbale del bambino in quanto quest’ultimo, è in grado di comprendere il bisogno dell’altro e cerca di mettersi in empatia con lui (Mazzara, Leone, Sarrica, 2013). L’individuo può accettare di ricevere o meno l’aiuto di un’altra persona anche quando dalla relazione interpersonale si passa alla relazione tra gruppi, infatti il non accettare l’aiuto di un membro più potente potrebbe causare l’assimetria tra questi ultimi e generare la nascita del pregiudizio, soprattutto se l’aiuto viene dato non facendo delle considerazioni oggettive sulle reali necessità. Tra i gruppi in conflitto può avvenire la riconciliazione, che non è solamente un obbiettivo socialmente desiderabile ma è anche un processo psicologico molto lungo.
In conclusione, la relazione di aiuto si realizza con l’incontro tra due persone, in cui una di queste è in una condizione più svantaggiata rispetto all’altra e devono cerca di risolvere il problema insieme. Quindi, l’elemento fondamentale è la comunicazione che permette, la maggior parte delle volte, di risolvere la condizione che causa il problema, di qualunque natura esso sia.